“L’animale! Oscuro mistero! Mondo immenso di sogni e muti dolori…Ma segni troppo visibili esprimono questi dolori, nonostante la mancanza della parola. " Jules Michelet
Nel carcere di Breslavia, pochi mesi prima della sua morte, Rosa Luxemburg assiste ad una scena di ordinaria violenza nei confronti di alcune bestie da soma. Questa la descrizione contenuta in una delle sue ultime lettere:
“Durante le operazioni di scarico gli animali se ne stavano esausti, completamente in silenzio,e uno, quello che sanguinava, guardava davanti a sé e aveva nel viso nero, negli occhi scuri e mansueti, un’espressione simile a quella di un bambino che abbia pianto a lungo. Era davvero l’espressione di un bambino che è stato colpito duramente e non sa per cosa né perché, non sa come sottrarsi al tormento e alla violenza bruta…” [1]
Il dolore degli animali è muto e incolpevole. Questi tratti - i più immediatamente evidenti e insieme i più inquietanti - interrogano (o dovrebbero interrogare) filosofia e teologia. Perché il dolore animale? Quali le ragioni? Quali le giustificazioni ? Se assumiamo come possibili categorie interpretative del rapporto uomo/ animale, almeno per quanto riguarda la storia della filosofia occidentale, due modelli antagonisti, il dominio - ispirato ad una visione discontinuista che relega gli animali, in quanto privi di ragione e di anima immortale, nella sfera dei mezzi al servizio dell’uomo – e la fraternità - ispirato ad una visione continuista che, anziché isolare l’uomo come essere a parte rispetto alle altre creature, afferma la parentela tra i viventi, al di là dei confini della specie - all’interno del primo modello troviamo tre risposte principali:
1) la negazione. Gli animali non ‘sentono’, sono macchine o automi privi di ogni sensibilità: è la ben nota tesi meccanicistica cartesiana, ripresa in particolare da Malebranche per confutare l’opinione ‘conforme ai pregiudizi’che essi provino dolore quando sono colpiti.
“ …è la natura che agisce in loro, secondo la disposizione degli organi: come si vede in un orologio, che composto di ruote e di molle, può contare le ore e misurare il tempo più esattamente di noi, nonostante tutta la nostra intelligenza.” [2]
“Non si deve mai sperare che il comune mortale accetti mai questa dimostrazione per provare che gli animali non sentono affatto: che cioè essendo innocenti, come tutti convengono, ed io suppongo, se fossero capaci di sensazioni, succederebbe che sotto un Dio infinitamente giusto e onnipotente, una creatura innocente soffrirebbe dolore, il che è pena e punizione di un qualche peccato.” [3]
2) la minimizzazione .Gli animali ‘sentono’, ma non hanno nessuna affinità di ordine razionale con noi. In quanto creature irragionevoli subordinate all’uomo non possono essere comprese nella voce prossimo : nei loro confronti esistono pertanto solo doveri indiretti. Ne discende, di conseguenza, la cosiddetta “tesi della crudeltà”, formulata sia da Tommaso che da Kant:
“Se nella S. Scrittura si incontrano parole che proibiscono di commettere crudeltà verso gli animali |..| questo si fa per vari motivi: o per rimuovere l’animo dell’uomo dall’esercitare crudeltà sugli uomini, perché esercitandola sugli animali, potrebbe poi passare agli uomini; oppure perché la lesione fatta agli animali si risolve in danno temporale dell’uomo, sia di chi la fa, come di altri ”. [4]
“Per quel che riguarda gli animali, essendo dei semplici mezzi, privi di una coscienza di sé, e l’uomo essendo invece il fine, per cui non si può porre la domanda perché vi sia l’uomo, domanda al contrario lecita nei riguardi degli animali, non vi sono verso di essi doveri diretti, ma solo doveri che sono doveri indiretti verso l’umanità.|…| L’uomo deve mostrare bontà di cuore già verso gli animali, perché chi usa essere crudeli verso di essi è altrettanto insensibile verso gli uomini.” [5]
3) la valorizzazione .Gli animali ‘sentono’ come noi ma la loro sofferenza innocente assume un valore simbolico, trovando la sua ‘giustificazione’ nel segno del riscatto dal peccato d’Adamo: è la tesi dominante nella tradizione cristiana dell’agnello sacrificale, simbolo di Cristo. Una posizione, questa, esemplarmente espressa nell’opera del pensatore francese Léon Bloy secondo il quale,dinanzi alla spaventosa ingiustizia di un dolore incolpevole, “bisogna” che l’animale soffra per noi, gli immortali, se non vogliamo che Dio sia assurdo. E’ lui che distribuisce il dolore. La pazienza eterna di questi innocenti appare, ai suoi occhi, calcolata da un’infallibile saggezza per controbilanciare, nei segreti disegni del Signore, la barbara inquietudine dell’umanità. [6]
Mi sembra degno del massimo interesse che il pensiero teologico offra due opposte ‘giustificazioni’ del dolore animale : la prima ne nega la stessa possibilità, giudicando fallace ogni evidenza empirica contraria, in base all’argomento che Dio non permetterebbe mai la sofferenza delle creature innocenti. Malebranche opporrà “tutte le ragioni più evidenti e più sicure del buon intendimento” alle “prove oscure “ che gli uomini hanno attraverso i sensi e che sembrano attestare la sofferenza animale, accettando di subire “lo scherno degli spiriti superficiali” dinanzi alla sua pretesa di “provar loro con ragioni un poco elevate che gli animali non sentono affatto.”
La seconda ne riconosce l’esistenza ma ritiene ineluttabile, se non insostituibile, il dolore innocente sublimandolo sia nel valore sacrificale che nella tragica esemplarità, entro un ordine misterioso che l’uomo non può pretendere in alcun modo di comprendere, tanto meno di spiegare. All’al di là è rinviata la rivelazione del mistero di questo universo che geme.
Se è quasi superfluo insistere sulle debolezze filosofiche delle due linee argomentative che, nel loro rifugiarsi nell’imperscrutabilità dei disegni divini, sembrano negare la razionalità di ogni teodicea, può essere invece significativo rilevare che, in entrambi i casi, abbiamo a che fare non con animali reali ma solo con i loro simulacri, meccanici o simbolici : creature di un mondo che non ci riguarda, esseri condannati al buio del silenzio perché il loro dolore non è in piena luce e non fa scandalo perché non si offre al nostro sguardo. O forse è il nostro sguardo che si distoglie?Ma ‘vediamo’ davvero il loro dolore? A ben riflettere, noi vediamo della realtà solo ciò che siamo disposti a vedere, mentre non vediamo spesso anche ciò che è palese. E’ la cultura a dare un rilievo maggiore o minore al dolore, talvolta a renderlo addirittura invisibile e indicibile, a rimuoverlo o a negarlo. Esiste una singolare selettività delle nostre capacità percettive. Gli esempi storici non mancano: basti pensare a come, per secoli, la condizione spaventosa degli schiavi o dei bambini sfruttati nelle fabbriche, all’epoca della rivoluzione industriale, fosse sotto gli occhi di tutti, ma ben pochi ,potremmo dire,‘avevano occhi’ per vederla. E’ forse un caso che il primo teorico dei diritti degli animali, Henry Salt, sia stato anche il difensore dei diritti degli schiavi,delle donne, dei bimbi, di tutti gli oppressi, al di là delle differenze di razza, di sesso, di specie? Comune e condivisa è l’esperienza del dolore : solo se riconosciuto nei suoi diversi ‘volti’, potrà essere combattuto.[7]
Riprendiamo la lettura della scena descritta dalla Luxemburg:
“Gli stavo davanti e l’animale mi guardava, mi scesero le lacrime – erano le sue lacrime; per il fratello più amato non si potrebbe fremere più dolorosamente di quanto non fremessi io, inerme davanti a quella silenziosa sofferenza. Quanto erano lontani, quanto irraggiungibili e perduti i verdi pascoli, liberi e rigogliosi, della Romania! |…| Oh mio povero bufalo, mio povero, amato fratello, ce ne stiamo qui entrambi così impotenti e torpidi e siamo tutt’uno nel dolore, nella debolezza, nella nostalgia.” [8]
Dall’incontro degli sguardi nasce la compassione, il riconoscimento della fraternità al di là delle frontiere della specie. Se il dominio dell’uomo è il risultato di una lunga guerra d’indipendenza dalla natura, pagata a prezzo del suo isolamento dal mondo vivente, gli animali rappresentano i prigionieri esibiti di un esercito trionfante. E tuttavia dolore, tensione,pena, amore, ansia sono sentimenti comuni a noi e a loro: di pathos è intessuta la nostra esistenza. Di qui la possibilità dell’empatia: non vi sono limiti alla nostra capacità di entrare col pensiero nella pelle di un altro, di immaginare l’esistenza di un qualsiasi essere con il quale condividiamo il sostrato della vita.
[1] Rosa Luxemburg, Un po’ di compassione, tr. it. A cura di Marco Rispoli, Adelphi, Milano, 2007 p.20
[2] René Descartes, Discorso sul metodo trad. it. A cura di A. Pozzolini, Rizzoli, Milano 1968, p. 64
[3] Nicolas Malebranche, De la recherche de la vérité , Présentation, édition et notes par Jean-Christophe Bardout, avec la collaboration de M. Bore et Al., 2 voll., Vrin, Paris 2006. V., in particolare il libro IV, cap. XI.
[4] Tommaso d’’Aquino Summa theologiae, Editiones paulinae, Cinisello Balsamo, 1988 ,vol.17, quest..64.
[5] Kant Lezioni di etica , tr. it. di Augusto Guerra, Laterza, Bari 1971, p.273
[6] La riflessioni morali sull’uomo, sulla società, sugli animali del grande saggista francese sono consegnate, soprattutto, a opere come: Propos d’un entrepreneur de démolitions (1884), Delamain et Boutelleau, Paris 1925; Exegése des lieux communs, édition établie par Jacques Petit, Gallimard, Paris 1973; Belluaires et porchers (1905), a cura di David Bosc, Gulliver, Arles 1997; Il sangue del povero, tr. it., Edizioni Paoline, Milano 1962
[7] Henry Stephens Salt ( 1851-1939) critico letterario, biografo, esperto di antichistica e di scienze naturali, può considerarsi il padre nobile dell’animalismo contemporaneo. Fautore di vaste e profonde riforme sociali –riguardanti le prigioni, le scuole, le istituzioni economiche—fu in prima fila nelle lotte volte ad affermare i diritti degli animali. Pacifista e contrario alla vivisezione, fu lui a far conoscere a Gandhi i lavori di Henry David Thoreau destinati ad avere un’influenza decisiva sul teorico indiano della non violenza e della disobbedienza civile. Tra le sue opere: Animals’ Rights: Considered in Relation to Social Progress, Macmillan, New York 1894; The Life of Henry David Thoreau, Bentley, London 1890; The Humanities of Diet, The Vegetarian Society, Manchester 1914
[8] Rosa Luxemburg, op. cit. pag. 21
Di Luisella Battaglia si presenta a Roma
giovedì 22 aprile alle 17.30
BIOETICA SENZA DOGMI
editore Rubettino
Casa Internazionale delle Donne - Via della Lungara, 19
L’idea di una “buona vita” e le scelte personali che ciascuno è chiamato a compiere nel rispetto e nel riconoscimento del valore delle differenze linguistiche, religiose, culturali giuridiche.
La bioetica in una prospettiva di genere: “voci di donne” e nuovi orizzonti culturali.
Ne parlano con l’autrice
CLUDIA MANCINA e FLAVIA ZUCCO
modera Tiziana Bartolini
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