È ormai a tutti noto che, al momento attuale, più della metà degli abitanti del pianeta vive in ambienti urbanizzati e che i processi di urbanizzazione sono stati ciclici e graduali fino dagli inizi delle grandi civiltà umane, ma che si sono consolidati con la “rivoluzione industriale”. È stato, comunque, nel corso del XX secolo, in parallelo con la crescita esponenziale della popolazione, che l’espansione dei sistemi urbani ha determinato quello che può essere definito uno “straripamento” insediativo. La velocità e le dimensione del fenomeno si sono manifestati in modo articolato a livello globale e, talvolta, specie in alcuni paesi in via sviluppo, l’incremento delle aree urbane è avvenuto con fenomeni di tipo caotico, risultando, quindi, ancor più drammatico. Dagli anni ’50 i 2/3 dell’incremento di popolazione dei paesi in via di sviluppo è stato assorbito dalle città, mentre è opportuno sottolineare che, in Europa, quasi l’80% degli abitanti vive in aree urbane.
In questo scenario è indubbio che la presenza di zone verdi e di spazi che richiamino un concetto di “naturalità”, può svolgere un ruolo fondamentale per il miglioramento della qualità della vita e per il raggiungimento di una soglia minima di benessere per l’essere umano per il quale è divenuta imperiosa la necessità di rigenerare sia il corpo, sia lo spirito. Infatti, della nostra vita quotidiana di abitanti di grandi città, che cosa possiamo dire di più accettabile e scontato, se non che la viviamo con acuto affanno, senza la necessaria serenità e dedicando limitatissimo tempo alla meditazione? Quante volte, parlando del ritmo e delle condizioni in cui la conduciamo, abbiamo usato i termini «tensione», «morsa», «ingranaggio», «velocità», «frastuono», «smog», ecc., lamentandone gli aspetti più pesanti da sopportare, più corrosivi per lo spirito, più nocivi per la salute? Quante volte abbiamo pensato o parlato, o udito parlare e letto di possibili rimedi a questi mali, concludendo, invariabilmente, che essi rappresentano logiche conseguenze o inevitabili concomitanze di situazioni da cui, tuttavia, otteniamo molti vantaggi? Quante volte, dunque, tutto ciò ci è parso praticamente irrimediabile?
Eppure è, e resta vero, che non pochi degli aspetti negativi e lamentati della nostra esistenza sarebbero eliminati, o attenuati nella loro gravità, se maggiore attenzione fosse posta da ciascuno di noi, nella sfera di attività che svolge e per l'autorità che personalmente riveste, alla costituzione ed alla cura dei parchi, dei viali e dei giardini nelle città.
Già nel 1975, Barbieri (Un pianeta da salvare, Principato Editore) sosteneva che il verde è una delle maggiori invenzioni dell'urbanistica moderna, con ciò sfatando uno dei tanti luoghi comuni diffusi dagli speculatori nella parte meno preparata dell'opinione pubblica, secondo cui la città del nostro tempo sarebbe "ineluttabilmente" condannata alla congestione, al soffocante gigantismo, al caos. Al contrario emerge chiaramente l’enorme divario che separa l’Italia dagli altri paesi cosiddetti “sviluppati” e le nostre città dalle città straniere (soprattutto inglesi, francesi, tedesche e scandinave), nelle quali è evidente come lo sforzo delle società coscienti dei problemi del nostro tempo sia tutto teso a rendere sempre migliore la vita urbana, reintroducendo quel contatto con la natura che le sconvolgenti trasformazioni cui esse sono state sottoposte da oltre un secolo rischiavano di eliminare. E, infatti, nei programmi urbanistici delle maggiori città straniere il verde viene accuratamente proporzionato e distribuito in base a norme precise, messe a punto da studi di igienisti, sociologi ed urbanisti, insieme ecologi, agronomi e forestali: non si tratta di creare “giardini” isolati, ma di realizzare una maglia di spazi che penetri profondamente nell’abitato, in modo da servire il maggior numero di cittadini e per le più svariate attività creative.
Il verde pubblico deve perciò assumere aspetti e funzioni sempre più precisi e differenziati, viene organizzato in un vero e proprio “sistema” continuo: dal verde sotto casa per i più piccoli, al parco-giochi a distanza pedonale, dal verde di quartiere con impianti sportivi elementari al verde di settore urbano con attrezzature più complesse e specializzate, fino alla grandiosa area naturale al servizio dell’intera città e del territorio circostante.
Purtroppo, nonostante anni di studi e proposte, sono ancora pochi in Italia gli esempi di una corretta pianificazione, progettazione e realizzazione di aree verdi concretizzati sui pochi summenzionati principi. Ci siamo piuttosto lasciati travolgere da un’esplosione edilizia incontrollata, basato su un arcaico ed esasperato concetto della proprietà privata dei suoli (agli italiani piacciono solo le famose riforme NIMBY, Not In My BackYard, non nel mio cortile) ed ispirata, spesso, dalla speculazione edilizia.
Da decenni, all’estero, il verde urbano è invece considerato e realizzato come un autentico servizio pubblico, al pari degli acquedotti, delle scuole, delle fognature, delle strade: essenziale alla vita degli uomini, al loro equilibrio, al gioco ed alla attività sportiva di giovani e adulti, al riposo degli anziani, alla ricreazione di massa, all’impiego del tempo libero. Per questo e per la sua decisiva funzione contro l’inquinamento atmosferico, il verde si presenta come una garanzia essenziale per la salute pubblica.
È, infatti, ormai largamente noto che gli effetti benéfici dell’albero singolo o del parco in città sono innumerevoli ed evidenti, anche se talvolta non facilmente quantificabili: non è questo il caso della modifica del microclima, o della “pulizia” dell’aria dall’anidride carbonica e dai peggiori inquinanti, qualificati e quantificati da diversi autori dei quali sono disponibili in letteratura numerosissime ricerche reperibili anche su diversi siti internet.
Come detto nel mio precedente intervento, piantare alberi è uno dei presupposti di gran parte dei programmi di miglioramento ambientale delle principali istituzioni internazionali che si occupano di ambiente e, nel presente di scenario di cambiamenti globali (non solo climatici), la scelta delle piante da inserire nelle aree verdi delle nostre città non può e non deve avvenire solo su basi estetiche o limitando la scelta alle sole specie indigene, ma deve tener conto del potenziale "contributo" ambientale che le specie che saranno messe a dimora potranno apportare. Appare perciò necessario che questa scelta debba essere basata su altri parametri come la quota d’inquinanti rimossi dalla vegetazione, il miglioramento, in percentuale, della qualità dell’aria, l’emissione oraria e giornaliera dei composti organici volatili da parte della pianta, ed il relativo impatto sulla genesi di ozono e di monossido di carbonio annuali; l’ammontare totale del carbonio organicato, l’effetto del bosco urbano sull’efficienza energetica nella zona confinante, la produzione di polline e allergeni, l’evapotraspirazione e la conseguente modifica del microclima. Tutto questo deve sempre tener conto del principio “albero giusto al posto giusto”, poiché non è sufficiente, che gli alberi sopravvivano, ma che abbiano elevati tassi di crescita e, conseguentemente, elevati tassi di sequestro di CO2 e di abbattimento degli inquinanti.
La necessità di scelte corrette su ciò che dobbiamo piantare è fondamentale in un periodo in cui è ancora più evidente la natura “strutturale” delle criticità nella pianificazione, realizzazione e gestione del verde urbano e della cura degli alberi nello specifico. L’ottenimento di risultati richiede, comunque, un più forte impegno di coesione, di responsabilizzazione e di orientamento da parte dei cittadini e delle pubbliche Amministrazioni, poiché non c’è dubbio che ciò costituisce, soprattutto in una fase critica come quella attuale, un pressante richiamo alla necessità di “lavorare” insieme per un verde sostenibile dal punto di vista tecnico, economico e ambientale. Nel fare questo è bene guardarsi dall’uniformità, dal conformismo o, peggio ancora, dal dogmatismo. In una società come la nostra la ragione non deve mai addormentarsi, né rinunciare a interrogarsi e ad interrogare. In caso contrario il verde urbano non cresce e non si evolve. Vorrei terminare parafrasando Rutherford (padre della fisica nucleare e precursore della teoria orbitale dell'atomo): quando finiscono i soldi bisogna cominciare a pensare. È proprio in periodi di crisi come questo che le scarse risorse finanziare possono e devono stimolare lo sviluppo di nuove strategie e di idee innovative per la città per farle realmente “verdi”.