Lo scorso 11 luglio ci ha lasciato Alda Croce (1918-2009).
Alda è stata una donna inquieta, estremamente moderna, audace intellettualmente e di un'intransigenza assoluta. D'altra parte, se la salvaguardia delle inclinazioni individuali e la coerenza con le convinzioni personali sono state cifre delle donne emancipate della sua generazione, la sua vita schiva, che ha condotto al di fuori da ogni facile schema sociale ed esistenziale, e il suo understatement rivelavano l'impegno totale nella realtà civile e culturale a cui ha partecipato.
Studiosa della letteratura spagnola del Seicento, si era laureata con uno studio sull'opera di Lope de Vega, e un importante lavoro giovanile è proprio dedicato alla Dorotea (ma ancora nel 1983 curò per Adelphi la Gattomachia dello stesso Lope de Vega); aveva poi ampliato i suoi interessi occupandosi di Luis de Gòngora e Tirso da Molina, e centrale nelle sue riflessioni, oltre al gongorismo, restò il desengano seicentesco, del quale è stata finissima studiosa e interprete, sebbene non in maniera esclusiva: del '37 è, infatti, un contributo all'edizione delle opere di Antonio Galateo. Questi interessi letterari furono coltivati in maniera tanto tormentata che lo stesso Benedetto Croce appare nel suo epistolario in difficoltà quando, avendo promesso un saggio della figlia in una miscellanea di studi, non riusciva a estorcerle il lavoro ormai finito, ritardando così la pubblicazione dell'opera - una vera e propria “onta” per il filosofo, che ha sempre dettato tempi e modi ai suoi editori, in ogni caso, un segno evidente della caparbietà della secondogenita.
Certamente Alda più che come ispanista è meglio nota come sottile interprete e profonda conoscitrice dell'opera paterna, della quale nulla le sfuggiva non ostante la vastità e la complessità di essa. Grazie ai lunghi anni passati accanto a Benedetto Croce, del quale è stata la principale collaboratrice, aveva una tale esperienza di scritti ed eventi da divenire, negli anni successivi al 1952, la principale esegeta dell'opera del filosofo, intesa nella sua globalità, e proprio per questo fonte inesauribile per chi poi con quelle opere e quegli scritti si è voluto misurare, sempre avvalendosi largamente della sua piena padronanza di cose crociane, spesso basandosi solamente su di essa. Oltre tutto, ne è stata pure in qualche misura la continuatrice, come depositaria dell'archivio personale del padre e conservatrice della sua biblioteca, che non ha mai cessato di essere accresciuta con la letteratura apparsa in questi decenni su Benedetto Croce, ma, quel che più conta, come `anima' dell'Istituto italiano per gli studi storici. Dell'Istituto ha sempre difeso l'indipendenza e l'autonomia, nonché la peculiare natura di scuola dove liberamente si confrontano docenti e discenti provenienti dalle più diverse esperienze intellettuali e dove la rigida selezione degli allievi premia sempre la genialità e la libertà di giudizio, senza condizionamenti estranei al merito intrinseco di ciascuno.
Forse, se un'attenzione particolare aveva, per così dire extrascientifica, era alle condizioni sociali di chi faceva domanda di una borsa di studio, favorendo, a parità di condizioni, chi aveva alle spalle, sopra tutto provenendo dal Mezzogiorno d'Italia o dall'Est sovietico, realtà disagiate.
L'impegno scientifico non è mai stato disgiunto per Alda da quello civile: fin dagli anni giovanili è stata un'appassionata animalista e questa sua sensibilità - che ha sempre coltivato fino agli ultimi tempi - si è via via ampliata, al punto da radicarsi in lei la convinzione che la difesa degli animali non dovesse essere disgiunta da quella più generale della natura, dell'ambiente e delle vestigia di chi ci ha preceduto e questo stesso contesto ha plasmato.
È stata la battaglia di un'intera vita. La vediamo impegnata in Italia Nostra, fin dal 1956, e poi dal 1969 anche nel «Comitato permanente di studi e interventi a difesa dei beni culturali e ambientali del Paese e del Meridione in particolare». In anni più vicini sono note le sue battaglie e il lavoro svolto grazie al «Comitato per la difesa dei beni culturali e ambientali di Napoli e della Campania», da lei stessa fondato, insieme con la sorella Elena, e a tutti gli altri vari comitati che costituiva di volta in volta, in base all'impegno concreto a tutela di tale o tal altro monumento.
Il suo stesso archivio personale è costituito da fascicoli concernenti ciascuno un sito da tutelare, un monumento da restaurare o da vincolare, nei quali raccoglieva la sua corrispondenza, le minute delle sue lettere o dei suoi articoli, gli appelli per la stampa quotidiana, i promemoria inviati a politici e pubblici amministratori, ma sopra tutto i ritagli dei giornali, dei quali era un'assidua, infaticabile e onnivora lettrice. Oggi indubbiamente questo stesso archivio è diventato un'imponente e angosciante testimonianza dello scempio dell'ambiente e del patrimonio urbanistico e monumentale nazionale perpetrato dall'Italia repubblicana, che sotto tale aspetto non solo ha reiterato il malgoverno di quella fascista, ma ha subito inerme, se non agevolato, l'urto della società di massa, il massiccio apporto (incontrastato, in particolare, nelle regioni meridionali e a Napoli dal 198o) della malavita organizzata al sacco edilizio e al degrado dei centri storici, aggravato dalla mancanza di un'adeguata progettualità urbanistica; fenomeni che hanno accelerato i processi di degrado e reso inarrestabile e incontrollabile lo sviluppo edilizio avviato durante il Ventennio.
Decenni di cattiva o nulla amministrazione della cosa pubblica sono in questo archivio personale puntualmente e sistematicamente documentati, insieme con le innumerevoli battaglie di Alda, condotte sempre esercitando una pressione capillare e continua su politici, burocrati e giornali a difesa di un monumento, di un giardino, di un paesaggio. Sono stati tanti e così numerosi i suoi interventi, che è difficile qui ricordarli tutti e che non necessariamente si perdevano nella minuzia del salvataggio fine 'a se stesso di un singolo manufatto. Alda aveva ben chiaro il principio che un restauro conservativo non dovesse essere disgiunto dalla riflessione preliminare sulla destinazione d'uso del monumento. Lo suggeriva sempre.
Ricordo qui, per fare degli esempi, le sue battaglie a difesa di Palazzo Fuga, dell’Ospedale militare, di Palazzo Penne, del Conservatorio di Santa Maria della Fede o dell'ospedale e del giardino del Loreto-Crispi, nelle quali ha sempre stigmatizzato l'abitudine tutta napoletana del “restauro per il restauro”, finalizzato unicamente al perpetuarsi del ciclo produttivo del “mattone”, senza che nessuno prenda alcuna decisione certa sull'utilizzo successivo dei manufatti “riqualificati”. Così come aveva ben chiaro che con i giardini storici urbani si dovesse procedere a un restauro ambientale rispettoso della storia di essi, mentre a Napoli oltre al “restauro distruttivo” della Villa comunale abbiamo assistito anche a scempi dovuti alle inidonee sistemazioni decise da chi al contrario dovrebbe tutelare monumenti e ambiente, come è avvenuto puntualmente per l'orto del chiostro di Santa Chiara. Mentre l'impegno a tutela dell'ambiente e dei beni paesaggistici l'ha sempre vista battersi per la conservazione integrale di essi e la protezione dei sistemi colturali tradizionali, contro l'abusivismo edilizio e gli scempi perpetrati all'ombra dei vari piani territoriali e urbanistici, dalla costiera amalfitana a Posillipo, ai Campi Flegrei; individuando, al di là delle singole contingenze, la principale minaccia al patrimonio ambientale e monumentale della nazione nel sistematico depotenziamento delle strutture amministrative di tutela e nel passaggio di competenze dallo Stato agli enti locali: una questione quanto mai attuale oggi che si discute addirittura di `federalismo demaniale'.
Certo è difficile accettare l'idea di non incontrare più Alda, di non essere convocati all'improvviso, di non ricevere più i suoi biglietti con i desiderata (detestava il telefono e le volgari abitudini della `civiltà' mediatica). Anche se negli ultimi tempi aveva lasciato Palazzo Filomarino, nulla era mutato nelle abitudini e nei quieti ritmi della casa e ancor oggi, talvolta, mi sorprende il pensiero, non vedendo il lume del suo tavolo di lavoro, che possa aggirarsi nella biblioteca paterna a caccia di qualche prezioso opuscolo sfuggito al suo sguardo ma non alla sua memoria.
L'archivio di Alda Croce presso la Fondazione Biblioteca Benedetto Croce è in corso di riordino e inventariazione.