L'Asia antica era animalista: in tempo d'estate e di più frequenti possibilità di viaggi all'estero voglio consolare il viaggiatore europeo che senta il suo desiderio di Oriente rattristato dal sapere quello che fanno oggi agli animali in Cina ma anche nell'Est più vicino a noi, come la Romania o la Bulgaria; voglio consolarlo raccontandogli invece l'atteggiamento benevolo anche verso le bestie di alcuni popoli originari di quelle lontane terre.
Cominciamo dalla Cina. Chuang-Tzu, il saggio taoista, spiega quanto sia necessario addirittura per la vita il riconoscere le differenze tra le creature, la specificità degli animali rispetto agli uomini:
"Una volta un uccello marino si posò a terra nella periferia della capitale di Lu. Il signore di Lu andò di persona a raccogliere l'uccello e lo portò al tempio degli antenati, dove organizzò una festa in suo onore. Davanti a lui venne suonata la musica di Jiu- Shao, gli venne offerto il grande sacrificio. Eppure l'uccello, gli occhi abbagliati e l'aria desolata, non toccò le carni né assaggiò il vino. In capo a tre giorni morì di fame e di sete. Il fatto è che il signore lo aveva trattato come avrebbe trattato se stesso, e non come si tratta un uccello. Per trattare l'uccello secondo la sua natura, bisognava farlo appollaiare in una profonda foresta, metterlo in libertà su terreni paludosi, e lasciarlo andare sui fiumi e sui laghi. Bisognava cibarlo con anguille e piccoli pesci, lasciare che se ne andasse con altri uccelli della sua specie e si fermasse a piacere. Sentire parlare gli uomini era già un supplizio per quel povero uccello, come avrebbe potuto sopportare il fracasso della loro musica?"
Gli uccelli in tutte le religioni sono in contatto diretto con la divinità. In India l' altare dell'Agnicayana, il grande sacrificio vedico del fuoco, su cui è stato fatto recentemente un bellissimo film a colori, è in forma di uccello con le ali spiegate; forse si tratta di un falcone, forse del grifone himalayano, forse é un ricordo del volo estatico dello sciamano quando fa il suo "viaggio" alla ricerca dell'anima del suo paziente. In quello stesso rito i rishi, i veggenti dei tempi arcaici, usano per il sacrificio solo ramoscelli già caduti, e prima di cogliere dei fiori per ornare l'altare mormorano una preghiera in cui esprimono reverenza per la vita floreale. E tutti sanno della venerazione indiana per le mucche, rispettate e amate, che ancor oggi traversano placidamente il traffico caotico e rumoroso di Bombay e Delhi senza che nessuno ossi scacciarle o fermarle. Ci sono perfino pulitissime case di riposo per mucche anziane.
Il sovrano indiano che ha lasciato il ricordo più duraturo di sé, l'imperatore Ashoka, nei suoi editti incisi su pilastri che ancora oggi si ergono in trentasette punti del subcontinente Indiano, non limitava la sua benevolenza ai suoi sudditi, ma, secondo il sacro principio della non violenza buddhista, la estendeva a tutte le creature viventi.
Egli dice, usando la terza persona:
"Il re caro agli dèi desidera che tutti gli esseri abbiano sicurezza, dominio di sé, equanimità e gentilezza. Dappertutto il re caro agli dèi ha provveduto ai due soccorsi medici: soccorsi per gli uomini, soccorsi per gli animali. E dovunque non si trovano piante salutari per gli uomini e piante salutari per gli animali, dappertutto ne sono state portate e piantate; e parimenti, dovunque non si trovano radici e piante da frutto, dappertutto ne sono state portate e piantate: lungo le strade sono stati scavati pozzi e sono stati piantati alberi, per utilità degli uomini e degli animali".
Quanto al Tibet, la caratteristica fondamentale della popolazione originaria, i Bon- po, che abitavano il paese delle nevi prima della venuta dei buddisti, era l'adorazione della natura.
I Bon- po credevano che non solo gli animali, ma anche le pietre e gli alberi abbiano emozioni e vita simili alla nostra ma anche comunichino tra di loro.
Alexandra David- Neel, la famosa viaggiatrice che all'inizio del Novecento lasciò i salotti di Parigi per viaggiare da sola fino a Lhasa, racconta nelle sue memorie di aver conosciuto vicino al suo eremitaggio due rocce che si diceva conversassero tra di loro, e ha ritratto in una delle sue splendide fotografiche uno sciamano che seduto in trance parlava a sua volta con loro e con gli alberi innevati che apparivano nell'immagine.
Vien fatto di pensare al fenomeno, ben conosciuto dagli amanti delle piante, di arbusti che prosperano e fioriscono se si parla loro come a una persona amata, o se hanno vicino una certa altra pianta anche se non nella stessa terra, e che intristiscono se a quella pianta ne viene sostituita un'altra, o se il padrone smette di parlarle.
Il mondo magico dei Bon-po fu apparentemente sopraffatto dall'avvento del Buddhismo, nel settimo secolo. Un re e famoso genio militare, Son sen gam po, prese in moglie una principessa Tang che era buddhista e che introdusse la nuova religione in Tibet. Il grande insegnamento del Buddha era:
"Bisogna essere gentili con le creature".
Questo messaggio fondamentale del buddhismo, la gentilezza universale, è testimoniato dal delizioso racconto di 400 secoli fa, della volta che il Buddha Avalokitesvara fece una predica agli uccelli.
Dunque, nella sua infinita compassione per le sofferenze implicite nell'esistenza in questo mondo limitato, il Buddha volle insegnare la sua dottrina a tutti gli esseri viventi, a somiglianza di San Francesco, il quale non poteva sopportare il pensiero che gli uccelli e in realtà "cuncte le creature" potessero essere lasciati fuori dalla redenzione. Destinata ai contadini e ai pastori nomadi che erano direttamente interessati alla vita naturale e agli animali, la storia narra:
" Qui " (nella preziosa montagna con le sue foreste alla frontiera fra India e Tibet), " per insegnare il Dharma al popolo pennuto, venne un giorno il Signore Avalokitesvara, che si era trasformato in un cuculo, grande re degli uccelli (il cuculo è un animale caro al buddhismo per il suo comportamento affettuoso verso la sua compagna e i suoi piccoli). Dunque, tutti gli uccelli dell'Himalaya si riunirono sulla montagna sacra, e così furono istruiti alla via buddhista.
Mastro Pappagallo venne di fronte al Grande Uccello, e si rivolse a lui dicendo:"Salve, o nobile e grande uccello!". E così replicò Colui:" Va', e ripeti queste parole che io ti dirò, a tutto il popolo pennuto". E spiegò il Dharma. Fu così che la parola del Buddha raggiunse anche gli animali".
La positività degli animali traspare anche nel libro dell'interpretazione dei sogni del re di Shambala: esso dice che sognare cavalli, asini, gatti, scimmie, e sognare che si offre loro del cibo, indica che si è sotto l'influenza del regno degli dèi.
Nei riti funerari Bon-po, successivamente utilizzati anche dai buddhisti, gli animali, specie i cavalli, gli yak, i montoni, le vacche e le lepri fanno da psicopompi, accompagnando il defunto nel passaggio verso "le 770.000 stelle", il paese aldilà:
"Più che l'uomo, sì, il montone è saggio, più che l'uomo il montone è potente. A te, Marba, montone del rifugio, a te, montone, è affidata la cura (di questo uomo). Traccia un cammino sulla roccia senza sentieri! Scava un guado, nel lago senza guado! Coi tuoi zoccoli straccia la roccia, col tuo muso aspira il lago!", dice la sequenza del rito. Il cavallo o lo yak sono considerati come parenti del morto, ricordati col loro nome e quello del loro clan e con gli attributi personali o titoli, rango, posizione, e anche soprannome: "Grande Forza", "Rapido come il pensiero". E il dio protettore dei Bon scende dal cielo su una montagna sotto forma di uno yak bianco.
Marco Polo nel "Milione" descrive un rito buddhista a Hangzhou, dove dei battelli trasportano, durante una festa, delle tartarughe d'acqua e delle conchiglie vive sul fiume, che i loro compratori poi rimettono in libertà. Molti secoli dopo, lama Namkai Norbu, uno dei due lama portati dal Tibet in Europa dal grande orientalista Giuseppe Tucci e che ancora oggi fa vivere ad Arcidosso l'insegnamento Bon- po, durante la festa popolare di San Giovanni a Roma acquistò una grande quantità di lumache e le gettò in un prarto, restituendo loro la libertà. E gli astrologi buddhisti che quando compilano l'oroscopo secondo la tradizione indicano sempre alla fine le buone azioni da compiere per modificare il destino modificabile, prescrivono spesso il salvare alcuni precisi animali dalla prigionia, o dai maltrattamenti altrui, o dalla morte:
" Riscatterai un agnello dal macello", "riscatterai una capretta", "e libererai dei piccoli pesci dalle mani del pescatore", " e salverai sette animali".
La rubrica di Luciana Marinangeli per Il Respiro