Camminavo in un grande parco stamattina, in un giorno di nuvole bianche e di vento leggero, e mi inoltravo nel punto dove il parco si fa tranquillamente campagna, e ti porta pian piano, un passo dopo l'altro, nel punto dove si fa dolcemente bosco, dove si fa intravedere quasi come foresta. Una parete di querce alte sulla collina, pini altissimi, nastri di edere zitte come serpenti, colonne vegetali di abeti solenni che si avvicinavano fra loro quasi chiudendoti il cammino per farti alzare il capo su, molto in alto, ma forse per chinarsi loro a guardare te con un grave, nobile sguardo. Risentivo quella frase di Victor Hugo: "Quando sono fra voi, grandi alberi, sento qualcuno che mi protegge e mi ama".
Così camminavo lentamente, guardando in alto, e solo i provvidenziali bastoncini del Nordic Walking mi impedivano di cadere sulle radici.
Anzi facevano di più: facendo resistenza sul terreno, mi riportavano l'attenzione anche a terra: così potevo notare ogni tanto anche qualche fiorellino colorato sopravvissuto alla siccità estiva.
Piccolo, ma così importante anche proprio perché raro, diverso.
A casa, Twitter mi racconta di una conferenza In Praise of Noble Trees, in lode degli alberi nobili, tenuta lo scorso settembre da Michael A.Dirr all'American Society of Landscape Architects, gli architetti del paesaggio. E quali sono questi alberi nobili, mi sono incuriosita? Per gli americani allora sono gli aceri e le betulle, i carpini e i faggi, il ginko e le magnolie, i platani e le querce, i lillà, i tigli e gli olmi.
I grandi olmi sono l'1% della popolazione degli alberi ma catturano il 30% dell'acqua delle piogge per restituircene in un solo giorno d'estate 400 litri al giorno.
I grandi alberi. Ma lì mi è scattata una voglia di giustizia, mia emozione cronica: una voglia di riequilibrare, di compensare, di riparare, la voglia del poeta, che dice ciò che gli altri non dicono, che dirige il fascio di luce dove c'è la cosa che è stata lasciata in ombra ma che c'è, esiste, come quella che della luce gode da sempre. Lo stesso istinto che mi fa stare dalla parte degli uccelletti nelle gabbie, per fare un esempio; di vestirmi di bianco quando gli altri si vestono di nero. Non per oppositività: per bisogno di equità. Gli alberi immensi mi rimanevano nella memoria, ma, curiosamente, si ripresentava insistente, senza sbiadire, il pallore celeste di quel modesto fiorellino nel prato stopposo, il colore giallo di quell'altro dai petali strapazzati.
Così quando Santino Spinelli, Alexian, il grande musicista Rom, mi ha telefonato per dirmi che il prossimo 7 ottobre andava a Strasburgo con poche persone per perorare davanti all'Unione Europea la causa del suo popolo, oggetto negli ultimi tempi di inaccettabile intolleranza e razzismo, facendo conoscere la magnifica tradizione musicale degli zingari, fonte di ispirazione anche per tanti musicisti europei,va a cantare la sua "Putraddipé", Libertà, la libertà immemoriale del nomade, dagli albori del mondo vicino alla terra, agli animali, alla natura, colla sua roulotte aperta al vento, coi suoi cavalli sui cammini aperti a ogni dove, ho pensato al coraggio di quest'uomo che, solo, in un momento di disgrazia della sua etnia storicamente e numericamente minoritaria , si misurerà coi rappresentanti delle grandi potenze, con i giganti europei: querce e piccoli fiori si guarderanno. E io ricordo le parole del Tao, le dico ad Alexian, che lo accompagnino a Strasburgo:
Un albero che appena s'abbraccia
Nacque d'una radice come un pelo
Una torre a nove piani
Incominciò da un cumulo di terra
Ed un viaggio lungo mille miglia
Incominciò dal fare un passo solo.
Perché piccolo non significa non importante.
La rubrica di Luciana Marinangeli per Il Respiro