«Non so se i miei amici vengano a trovare me o questo paradiso. Non indago» sorride Lady Carolina Hanbury mentre osserva il sole che tramonta nel mare. E per un attimo si fa tutt’uno coi sentieri, le piante, i fiori dei Giardini Botanici di Hanbury. Creati nel 1867 per la passione di sir Thomas Hanbury, un mercante che aveva fatto fortuna come esportatore di thé e seta a Shangai. Un uomo generoso: «Aveva fede in Dio e per ringraziarlo volle condividere i suoi beni con altri: i giardini dovevano essere l’orgoglio del paese, tutti li potevano visitare».
Un giorno, mentre navigava, vide il promontorio della Mortola sulla costa ligure vicino a Ventimiglia (Imperia) e se ne innamorò. Viaggiatore instancabile, stabilì di fermarsi e fare di quel luogo la sua dimora. Sfruttando il clima mite decise di creare un giardino botanico per l’acclimatazione di piante provenienti da tutto il mondo. Oggi i Giardini di Hanbury, unici in tutto il Mediterraneo, comprendono 5.800 specie di piante tropicali, ornamentali, officinali, aromatiche e da frutto. 114 tipi di agave, eucalipti, aloe, passiflore, agrumi, euforbie, yucca, cicadi, rose e peonie. Dal 1987 la gestione dei Giardini è stata affidata all’Università degli Studi di Genova. Lady Carolina continua a viverci, fedele a una storia che ogni giorno è sempre più sua. I Giardini sono stati pensati e voluti da un uomo, Sir Thomas Hanbury, salvati e tramandati dalle donne della famiglia: Lady Dorothy e, oggi, Lady Carolina.
Quando ha visto per la prima volta i Giardini?
Nel 1977, durante il viaggio di nozze. Avevo solo ventuno anni. Ricordo Dorothy, la nonna di Simon, mio marito. Mi ignorava, era una persona particolare, non aveva simpatia per le altre donne. Avevo paura di lei e lei non faceva nulla per mettermi a mio agio. Ogni sera invitava mio marito a bere un aperitivo escludendomi. Non ho immagini dei giardini di allora, ricordo nitidamente solo lei.
Lady Dorothy era una donna formidabile, ma intimidiva. Era rimasta vedova, questo la rendeva molto determinata. Dopo la guerra questi Giardini erano in difficoltà e lei si è battuta per salvarli.
Immaginava che un giorno avrebbe vissuto qui?
Quando ho scoperto che avevamo ereditato questi Giardini e che ci saremmo dovuti trasferire sono andata in crisi. Era il luogo della famiglia Hanbury, mio marito era la quarta generazione, pensavo di perdere la mia identità. Dopo otto mesi che vivevamo in Italia Simon si è ammalato di tumore e siamo tornati in Inghilterra.
Alla sua morte, i Giardini mi aspettavano, erano il sogno mancato di mio marito. Tornare qui è stata una terapia. Mi sono sentita sempre più legata alla famiglia Hanbury. Sono diventata l’ambasciatrice dei Giardini. Erano nel mio destino, sono il mio lavoro. Questo mi rende felice.
Dopo Lady Dorothy i Giardini hanno di nuovo una donna alla guida…
Dorothy è rimasta vedova a quarantanove anni, io a cinquanta. Ho molta simpatia per lei, per la sua capacità di difendere i Giardini. Si è rifiutata categoricamente di venderli nonostante molti costruttori edili le avessero offerto milioni.
Scriveva nel suo diario: «I Giardini non sono solo una visione di fiori e piante». Sapeva che sono molto di più. Mantengono l’atmosfera di famiglia, il vecchio campo da tennis, i lunghi viali. Sono romantici, come la loro leggenda, i loro illustri visitatori.
La principessa Victoria, figlia della Regina Victoria, volle portare il fratello, il principe di Galles, a visitarli. Mussolini nel 1939 scelse questo posto per incontrare Francisco Franco. Dopo la guerra Winston Churchill trascorse qui un breve periodo per poter dipingere in solitudine e pace.
Perché Lady Dorothy le era così ostile?
Per un’antipatia ereditata. Cecil, il marito, era membro della Camera dei Lord, alla sua morte Dorothy, donna indomabile, voleva prenderne il posto. Fu mio nonno, August Hambro, a opporsi fortemente, nel 1937. Poi le cose cambiarono anche alla camera dei Lord.
Quale luogo dei Giardini considera il suo rifugio?
Un punto particolare, una cornice. Da lì posso vedere la villa, le piante più tipiche, gli ulivi, i cipressi, le palme, il mare. Mio marito amava l’ultimo angolo del giardino, fra due palme, in lontananza si vede il paese della Mortola.
Dorothy adorava il giardino dei profumi, l’aveva creato come fosse una stanza, scegliendo con cura ogni pianta: geranio, erba luisa, arancia, lavanda, eucalipti, cedrina, alcune rose. Ognuno di noi si è scelto un suo rifugio.
E’ difficile per una donna dirigere i giardini?
Continuo ad avere la sensazione che in Italia prendano più in considerazione gli uomini. A volte mi dico: se questa cosa l’avesse proposta mio marito l’avrebbero ascoltato. Dorothy diceva: «Quando ho un dubbio pianto una pianta». E andava avanti.
Ha un sogno per i Giardini?
Che tornino ad essere un luogo di sperimentazione per le piante tropicali, però adesso tutto è fermo: ci sono pochi soldi. L’Università di Genova ama i Giardini, ma è lontana. Il parco è protetto e stiamo cercando di farlo diventare patrimonio dell’Unesco. Le piante hanno bisogno d’amore e protezione.
Quali differenze ci sono fra un Giardino inglese e uno italiano?
Gli italiani sono appassionati di orti e gli inglesi di fiori, piante e giardini. Ho grande rispetto e stima per i giardinieri che lavorano qui. In tanti anni sono riusciti a mantenere lo stile del giardino inglese. Ci sono dieci giardinieri, Thomas Hanbury ne aveva quaranta.
L’unico mio timore è che oggi i Giardini rischino di diventare più ordinati. La forza e la bellezza di questo luogo sono nel suo essere selvaggio. I giardini italiani sono più formali e strutturati, i Giardini di Hanbury sono multiculturali. Nei giardini inglesi le piante sono vicine, nei giardini italiani si vede sempre troppa terra.
Quali sono i suoi ricordi più belli legati ai Giardini?
I matrimoni delle mie figlie, Serena e Melissa. Si sono sposate il sabato e la mattina di domenica non c’era alcuna traccia della festa. Paola Profumo, direttrice dell’Università, era perplessa nel concedere la villa, dell’Università di Genova, per un matrimonio. Temeva danni ma si è fidata di noi. Abbiamo illuminato i sentieri della villa con candele in vasi di vetro, alla cinque di mattina stavo ancora grattando la cera caduta. Non abbiamo lasciato nessun segno.
Vive in Italia da 14 anni. Che immagine ne ha?
Nei Giardini quasi nulla è cambiato in questi anni. Questo luogo è stato preservato, ma non è così nel resto del paese. L’Italia deve fare più attenzione al verde, costruire di meno, c’è poco rispetto per l’ambiente e per gli animali. Bisognerebbe iniziare dalla scuole: educare i bambini alla bellezza. Spiegare loro che tutti devono poterla vivere.