Otto milioni di case vuote in Italia, e piogge torrenziali di case nuove costruite furiosamente dappertutto, alla peggio, si direbbe a opera di ciechi, sordi e ubriachi, su terreni sismici, sulle pendici dei vulcani, nei letti dei fiumi, su fondamenta inesistenti, una slavina di cemento che invecchia subito e si sbriciola, pareti di carton gesso per Case dello Studente che vanno giù come quinte di cartapesta. Architetti che importano il deserto del Sahel nel Bel Paese cementificando il suolo e ponendo nudi blocchi di cemento simili a bare nelle piazze dove un tempo un prato e qualche albero rallegravano e facevano compagnia al cuore. Contemporaneamente - sarà un caso?- la vendita di tranquillanti e psicofarmaci è salita al primo posto nelle farmacie. Nelle strade vedi facce tristi, gente dallo sguardo vuoto, dai corpi come fantocci, colle mani penzoloni, immote.
Gente che parla da sola. Sempre più barboni, sempre più giovani.
Dove abitano? Dove abitavano? E luoghi storici meravigliosi abbandonati, al confronto i dolmen della Bretagna calpestati dalle scarpe da trekking dei visitatori sono una sciocchezza, noi abbiamo Pompei preda di chiunque vuol portarsi via una tessera di mosaico, Villa Borghese ferita dalle ruspe dell'Acea e dalle cartacce dei fantocci umani che parlano da soli; Villa Borghese che era stata costruita sulla pianta di Versailles, Versailles che era stata eretta su disegno geomantico, come tutte le città antiche, compresa Roma. Perché il luogo fisico dove abitiamo, dove passiamo, è importante, sottilmente importante.
"Mens sana in corpore sano": la casa, il giardino, il parco, la strada, è come il corpo, se è sana anche la mente è sana. Ce lo insegna il "Manayati Sastiram", l'antica arte indiana della costruzione degli edifici: come la vita entra in forma di respiro nel neonato quando esce dalla madre, e le configurazioni planetarie di quel momento delineano il suo condizionamento fisico e psicologico, così quando nasce una casa la vita vi entra attraverso il respiro del suo proprietario.
L'oroscopo di questi deve essere in armonia con quello della concezione della casa, il "mulaikkal", posa della prima pietra, e soprattutto con quello del "grahagravesam", nascita della casa. L'interazione tra di loro determina la salute fisica e mentale di chi vi abita.
Così L. Valentine Daniel, un brillante antropologo di origine asiatica, ha raccontato il caso di un disturbo mentale indotto da una casa e terminato con l'uscita dalla casa stessa in un vivido studio sull'orientamento nella vita degli indù Tamil ancora nella seconda metà del Novecento.
In un posto a sud di Kalappur dunque, un certo Aravandi Pillai si costruisce un giorno una bella casa che sembra rispettare tutti i crismi della costruzione ideale raccomandati dalla " Manayati Sastiram": posizione a sud del villaggio su terreno elevato volto a nord-est, posa della prima pietra e nascita della casa eseguite secondo i calcoli e le conclusioni di nove astrologi bramini.
Eppure, dal primo giorno in cui Aravandi e famiglia si installano nella nuova abitazione, cose strane iniziano a succedere ai suoi abitanti. Nella prima settimana la moglie di Aravandi, che è sempre stata una donna eccezionalmente calma e docile, viene presa da un "pisacha", spirito cattivo, e comincia a picchiare senza motivo una delle domestiche, fino allora trattata come una figlia.
In seguito diventa sempre più violenta, scagliando sulla pietra da macina piatti e vassoi di rame, importanti segni esteriori del tradizionale ruolo domestico della donna indiana, ruolo che viene così rifiutato con grave scandalo pubblico. La seconda settimana la moglie è sempre in preda alla sua folle agitazione e l'unica mucca, l'essere domestico sacro, muore dopo aver partorito. Dopo due giorni muore anche il suo vitellino. La finestra a sud cade inspiegabilmente dai suoi stessi cardini. L'acqua del pozzo sembra sporca e il cibo va in avaria prima del consueto.
La padrona di casa è sempre in preda alla follia. Tempo un mese Aravandi perde un mucchio di denaro. Dopo pochi mesi la moglie è sempre pazza e Aravandi ha un attacco cardiaco che lo lascia invalido. Un anno dopo la moglie è sempre furiosa e Aravandi muore. Il sedicesimo giorno dalla cerimonia funebre la moglie e i figli di Aravandi lasciano la casa e si stabiliscono a Ceylon, dove ora vivono.
La moglie vene curata con successo dalla pazzia e dopo una lunga vita muore di pacifica vecchiaia. Selvadurai, il figlio maggiore di Aravandi, cerca per anni assieme a tutti gli specialisti e gli indovini di scoprire la causa della sfortuna dei suoi genitori.
Si stabilisce infine che la causa di tutta quella sventura era il risultato di una profonda incompatibilità tra gli oroscopi di Aravandi e quello della casa e che se la casa fosse stata venduta o abbandonata prima di tre mesi la moglie avrebbe recuperato subito la ragione e Aravandi avrebbe salvato il denaro e la vita.
Un'altra casa mal messa, stavolta perché si trova a cadere nel cono d'ombra proiettato dalla casa più fortunata del villaggio, quella del generoso e caritatevole - all'apparenza- Theravaya, nel primo anno produce la perdita del figlio del proprietario, un certo Andiya Pillai, il secondo anno la perdita di tutti i suoi soldi e il quarto anno sua moglie è colpita dalla "pigrizia", "aluppam comperittanamum", grave depressione psichica, probabile brutto effetto della vicinanza e possibile comparazione sfavorevole con una casa troppo "vincente": il serpente verde dell'invidia può divorarti l'anima e il corpo.
Questa visione asiatica della casa come un essere vivente, che viene concepita, nasce, ha un oroscopo ossia un posto nell'ordine celeste e terrestre, un condizionamento materiale e psicologico che interagisce con i suoi occupanti e con il resto della comunità, non può essere spiegata semplicemente come una proiezione antropocentrica che fa della casa qualcosa di umano. Essa può essere utile all'occidentale troppo distratto, troppo mentale, che non guarda bene, direi non ascolta bene, le cose; può essere utile al medico che mai si domanda , e domanda, dove vive il suo aliievo e come è la sua casa, e se ci si trova bene.
In tempi di ignoranza, di prevaricazione diffusa, di abusi su tanti punti, di sommarietà offerta a modello, può sembrare vano parlare di attenzione alle realtà sottili dell'ambiente, che richiedono conoscenza e sensibilità. Io credo che valga la pena. Credo che convenga sempre far conoscere o ricordare le leggi profonde della natura. Questo può sembrare quasi sovversivo, in un'epoca in cui un ministro dice che la cultura non dà da mangiare. Facciamoci allora sovversivi. Rivoltiamoci contro l'ignoranza, la fretta, la sommarietà, la disattenzione, l'egoismo cieco e alla fine stupido. E, come dice André Gide :"Non vergogniamoci se siamo pochi. Il mondo è stato cambiato da poche persone".
La rubrica di Luciana Marinangeli per Il Respiro
Luciana Marinangeli e' scrittrice, francesista e presidente dell'Associazione l'Alberata