Nel 2007, quando Nestore, un cavallo che viveva qui da noi in un branco di dodici equidi fu riscontrato positivo, solo lui, ai neo-controlli obbligatori sull’AIE, rimasi sbigottito. Ma come? Mi sembrava impossibile che quella malattia che mi volevano far credere pericolosissima e di rapida infezione fosse rimasta con Nestore per tre anni senza far ammalare né “positivizzare” nessuno degli altri cavalli che condividevano con lui il pascolo notte e giorno da quattro anni. Iniziai così a capire che i cavalli positivi alla AIE non erano poi questo grande pericolo e che dietro tutto ciò c’era spesso soltanto il timor panico per ciò che si conosce poco e, forse, anche altro.
Messo Nestore in isolamento in un paddock di un paio di ettari iniziammo a cercargli un compagno, per rispetto verso la sua natura di animale sociale e fu così che la nostra Associazione è entrata in contatto con moltissimi proprietari di equidi sani che in qualche modo erano entrati in contatto col virus. Alcuni proprietari hanno ceduto alle pressioni ed hanno macellato il loro cavallo, altri hanno combattuto.
Adesso in quel paddock ci sono sette bellissimi e sanissimi cavalli positivi alla AIE i cui proprietari hanno dovuto combattere una guerra perché il loro diritto di mantenere in vita il proprio cavallo fosse rispettato dalle istituzioni.
Nella campagna di controlli 2009 le ASL italiane hanno controllato più di 237.000 equini; 338 sono risultati positivi e destinati quindi all’isolamento o alla macellazione (è opinione di chi scrive che l’abbattimento di un cavallo sano positivo al test rientri nel reato di uccisione di animali; art. 544-bis CP). Per una malattia trattabile e di difficile diffusione, effettuare ogni anno più di 200.000 test è uno sforzo organizzativo ed economico notevole. Specialmente se poi si riscontra una positività dello 0,14%, cioè praticamente insignificante, nonostante che il 2009 sia forse il primo anno in cui i test sono stati veramente effettuati in tutta Italia o quasi.
La normativa comunitaria prevede che negli scambi tra paesi EU si verifichi sommariamente che gli equidi non abbiamo i segni clinici della malattia (quindi in linea teorica potrebbero essere tutti positivi e sani come i nostri), è infatti scientificamente provato che i cavalli positivi non sono probabili veicoli di contagio; solo quelli malati lo sono. La maggior parte dei paesi europei comunque effettua dei test per l’AIE ma solo su quegli equidi che partecipano a manifestazioni sportive o concentrazioni di una certa entità.
In Italia si prelevano e si testano ogni anno più di 200.000 campioni di sangue, indipendentemente da che il cavallo vada a una competizione con centinaia di altri cavalli, vada a fare una passeggiata o viva beatamente nel giardino di casa in compagnia di un altro equide e del suo proprietario.
Riusciamo a immaginare lo sforzo organizzativo ed economico nell’andare a prelevare ogni anno 200.000 campioni talvolta nelle zone più impervie della penisola? Lo 0,14% degli equidi è positivo e più del 90% di questi è e resterà sano per tutta la vita e non sarà veicolo di contagio. Per una malattia che colpisce in forma conclamata lo 0,01% degli equidi sul territorio nazionale, per una malattia non facilmente trasmissibile, noi mettiamo su una organizzazione faraonica per contrastarla analizzando il sangue di tutti i cavalli presenti sul territorio. Anzi no. Di quasi tutti; non testiamo infatti i cavalli allevati o importati per la macellazione, anche se vengono da regioni paludose d’Europa dove la malattia, a causa dell’altissima presenza di vettori e l’assenza di trattamento per i cavalli malati, è endemica. Questi cavalli importati e potenzialmente positivi (80.000 nel 2006), nei loro viaggi della morte condividono le stalle di sosta con i nostri cavalli che vanno ai concorsi, che pure non si infettano.
L’OIE (Organizzazione mondiale della sanità animale) prevede due test diagnostici per l’AIE: l’ELISA e l’AGID (o test di Coggins). I risultati positivi dell’ELISA devono comunque essere confermati dal Coggins per parlare di positività all’AIE. La normativa italiana utilizza ovviamente lo stesso schema dell’OIE: se il Coggins è negativo anche il cavallo è considerato negativo alla AIE.
I giornali hanno parlato recentemente di Rocket, una cavalla che vive con le sue proprietarie nella provincia di Roma. La nostra associazione sta seguendo il caso sin dall’estate scorsa quando le è stato fatto il prelievo annuale di routine per l’AIE. ELISA positivo, Coggins negativo. A scanso di equivoci è stato fatto un secondo prelievo: ELISA dubbio, Coggins negativo. Molti di noi avrebbero dedotto che la cavalla è da considerarsi negativa. La ASL ha voluto effettuare un altro test di conferma, l’Immunoblotting, test non specifico per l’AIE e di attendibilità molto discussa nel mondo scientifico. Positivo. Cavalla sotto sequestro sanitario. Le proprietarie richiedono almeno la ripetizione del test, magari facendolo effettuare anche da un laboratorio terzo. No. Non concesso. Perché?
I dubbi che vengono alla mente sono tanti. Perché si è voluto a tutti i costi, anche andando contro la normativa in vigore, dichiarare quella cavalla positiva? E poi, quanti dei cavalli testati nel Lazio hanno subìto tale accanimento per riuscire a trovare una (falsa) positività? La percentuale di cavalli riscontrati positivi nella regione Lazio nel 2009 è del 400% più alta rispetto alla media nazionale; davvero l’AIE è così radicata nel Lazio o il caso di Rocket è solo uno dei casi in cui si è fatto ricorso a “tecniche alternative” col preciso fine di dichiararne la positività? Quanti cavalli sono stati macellati perché dichiarati positivi con un test non ammesso e non sicuro essendo il test di riferimento negativo, cioè quanti proprietari si sono arresi all’arroganza del potere? Perché a novembre il Direttore della Regione Lazio si è sentito in dovere di ricordare ai veterinari delle ASL che l’unico test di riferimento è il Coggins?
Il piano di controllo dell’anemia infettiva risale al 2007. Nel 2006 infatti alcune sacche di plasma immunizzante infetto furono utilizzate in alcuni allevamenti in Italia e vendute anche all’estero. L’origine di quel plasma era italiano, ricavato da animali rumeni importati per il macello. Ne seguì uno scandalo internazionale. “Il blocco dell'importazione da paesi non garanti del rispetto di norme sanitarie, benessere e diritti animali sarebbe un valido sistema di prevenzione” disse in una intervista al Corriere della Sera l’allora Ministro per l’Ambiente Pecoraro Scanio. Valido e poco costoso, questo sistema avrebbe da un lato difeso gli affetti di quanti non vedono nel proprio cavallo solo un mezzo di locomozione o di sport ma un compagno di vita, dall’altro avrebbe imposto un miglioramento delle condizioni nei paesi di origine (la Svizzera, peraltro, ha da poco adottato una misura simile a quella suggerita cinque anni fa dall’On. Pecoraro Scanio). E invece siamo arrivati alla follia di voler effettuare i test ogni anno sull’intera popolazione equina di una nazione. Addirittura stiamo cercando di far risultare positivi cavalli che non lo sono. Per quale motivo? Il veterinario che ha preparato quelle sacche di plasma nel 2006 è stato davvero così privo di ragionevolezza e professionalità da non far fare dei test all’Istituto Zooprofilattico? Ho difficoltà a credere che questo faraonico piano di controllo sia stato istituito per motivi strettamente sanitari vista la trattabilità della malattia, la bassissima infettività e la scarsa presenza sul territorio nazionale.
Cosa dovremmo fare allora per la Leishmaniosi dei cani che ha una diffusione nazionale del 2600% più alta della AIE, può trasmettersi anche gli umani e ha effetti spesso devastanti sull’animale?
Antonio Nardi - Dei da Filicaja Dotti è presidente della IHP Italian Horse Protection association