A Roma, nell'appartato quartiere che da Castel Sant'Angelo si allarga verso il Tevere, popolato da villini eleganti nel loro understatement, a via Pompeo Magno, una strada tranquilla che sa di più placidi tempi, si erge dentro un recinto privato un pino meraviglioso, un monumento vegetale di incredibile bellezza che allarga la sua splendida vasta chioma su tutte le case del luogo.
Una chioma verdissima, sanissima; un essere innocente; eppure qualcuno vuole uccidere questa creatura, abbattere questo gigante buono che ogni giorno d'estate rinfresca con 400 litri d'acqua la torrida atmosfera della capitale. Ma dà fastidio al proprietario di un garage costruito abusivamente sotto quell'ombra, che vuole abbattere il pino. E' una pianta monumentale , gioiosa da vedere, un bene prezioso, riconosciuto come tale dai Beni Culturali e dall'Ufficio Giardini del Comune; ma , incredibilmente, ottusità , cavilli e indifferenza burocratici mirano a ucciderlo.
Alla notizia di questo possibile assassinio io ho sobbalzato, perché mi è intollerabile perfino veder calpestare l'erba oltre che veder potare qualunque albero, qualunque ramo, veder seccarsi qualunque pianta abbandonata , vedere le radici delle piante offese dal cemento e dai rifiuti. Come Masonobu Fukuoka, il contadino filosofo giapponese, l'ideatore della "Rivoluzione del filo di paglia" , credo, sento intensamente che l'erba e gli alberi sono Dio. Lo credo veramente, nelle mie vene lo sento.
Ho sobbalzato alla notizia della possibile morte del pino di via Pompeo Magno anche perchè proprio sotto quest'albero, al numero 10 A, si trova la casa che offrì riparo a un famoso personaggio della cultura europea: il grande psicoanalista Ernst Bernhard, il quale nel 1937 fuggendo le persecuzione della Germania nazista scelse di venire in Italia seguendo l'esempio di Goethe, che primo fra tutti aveva offerto ai suoi conterranei il modello del viaggio nel Bel Paese.
Nel 1937 gli stranieri non avevano compreso la pericolosità del fascismo e l'Italia, il "paese dell'anima" di Byron, appariva relativamente sicuro. Bernhard , che aveva seguito il percorso di Goethe e del suo "Viaggio in Italia", era attirato dal mito della Grande madre mediterranea che faceva appello alla sua origine ebraica e al suo carattere mite e accogliente, e scelse il numero 10A di via Pompeo Magno proprio per la presenza di quel meraviglioso pino che parlava dell'Italia ai suoi occhi di grande amante della natura, e dell'arte.
I pittori e gli scrittori nordici mai si saziavano dello spettacolo della chioma verde del pino che si staglia nobile e calma contro il cielo intensamente azzurro ; un albero e un colore che tedeschi, anglosassoni e scandinavi non vedevano nelle loro terre.
La casa sotto il pino ospitava una piccola colonia di tedeschi, pittori, studiosi, tutti amanti della natura come Bernhard, che fotografava continuamente i paesaggi italiani e non faceva mai mancare nella sua casa mazzi di fiori selvatici. I suoi pazienti dovevano aspettare il loro turno in una stanza d'attesa il cui arredo era costituito da un rigoglioso philodendron che tappezzava interamente le pareti.
La grande cultura di Bernhard, che spaziava da Jung, di cui fece conoscere il pensiero in Italia, alla simbologia antica d'Occidente e d'Oriente , gli ricordava che in tutte le grandi mitologie il pino , con la sua chioma innumerevole e sempreverde, è un simbolo d'immortalità, e che il profumo balsamico della sua traslucida resina impastata di luce solare segnala in esso la presenza della benevola divinità della Grande Madre. L'oracolo di Delfi ammoniva i Corinzi di venerare il pino al pari di un dio, e per Plinio "l'albero che desta più stupore è il pino: nessun albero è così inesauribilmente generoso".
Bernhard, che condivideva l'interesse di Jung per la cultura orientale, sapeva che gli dei Immortali taoisti dei Cinesi si nutrono di resina e di aghi di pino e che nel Giappone shintoista questi alberi sono "Kamì", divinità, la Forza inestirpabile, resistente come il loro durissimo tronco e il loro fogliame permanente, che si manifesta come costanza dell'amore coniugale, perpetuità del genere umano e capacità di resistere alle tempeste della vita.
Quell'albero protesse Bernhard anche quando, nel giugno del 1940 , fu arrestato come ebreo dalla polizia fascista e deportato nel campo di internamento di Ferramonti, in Calabria. Le persone che frequentavano la sua casa, dalla stessa padrona di casa ai suoi amici, come Olga Aquarone, si attivarono immediatamente per aiutare il prigioniero aprendo alla sua compagna, Dora Friedlander, la strada per contattare colui che avrebbe salvato Ernst : Giuseppe Tucci, l'archeologo e orientalista che spendendo presso Mussolini il suo prestigio e la sua influenza , anche con rischio personale, riuscì nel 1941 a far uscire Bernhard dal campo e dal pericolo di finire ad Auschwitz.
Prossimamente pubblicherò per l'editore Aragno le sue lettere scritte da Ferramonti che testimoniano questa drammatica storia e l'interesse di Bernhard per la natura.
Sarà perciò proprio di fronte al pino del numero 10A di via Pompeo Magno che verrà posto una delle Stolpersteiner , le "pietre d'inciampo" create dall'artista tedesco Gunter Denmig per non dimenticare chi ha subito la persecuzione razziale e la casa che ha dovuto abbandonare. Si aggiungerà agli oltre 22.000 piccoli sanpietrini dorati, 10 cm.per 10, il cui inciampo, non fisico ma visivo e e mentale costringe il passante a ricordare chi è stato sottratto alla vita da una ideologia mostruosa.
Lunga vita dunque al pino di via Pompeo Magno!
E sapete cosa ha detto oggi la Grande Madre sotto i panni di una vecchietta del quartiere che è ritenuta una strega ( Bernhard a Roma aveva fama di mago)? La vecchietta è stata sentita dire , rivolgendosi con fare determinato a chiunque voglia toccare il pino:
"SE LO ABBATTI, TI RICOPRO DI PORRI!".
La rubrica di Luciana Marinangeli per Il Respiro
Luciana Marinangeli e' scrittrice, francesista e presidente dell'Associazione l'Alberata