Ormai siamo nel pieno della stagione di riproduzione degli animali selvatici, e mi sembra opportuno dedicare questa puntata del manuale di convivenza ai comportamenti da adottare nel caso di ritrovamento di piccoli in difficoltà, siano essi uccelli o mammiferi. Osservando poche e semplici regole potremo essere veramente di aiuto ai giovani esemplari che a breve usciranno dai nidi e dai rifugi per iniziare ad esplorare il mondo.
Generalmente abbiamo una scarsa considerazione nei confronti delle “mamme selvatiche” perché siamo abituati a imporre i nostri modelli comportamentali anche nei confronti del mondo animale. Al contrario, le figure genitoriali di molte specie selvatiche sono estremamente protettive e agiscono sempre con l’obiettivo primario di salvaguardare i propri cuccioli e terminare con successo la fase riproduttiva.
Dopo questa necessaria premessa, iniziamo a parlare dei mammiferi che più frequentemente vengono rinvenuti.
Quando si incontrano giovani volpi, ricci, caprioli e via dicendo, che non presentano nessun evidente sintomo di malattia o ferita e che appaiono relativamente tranquilli, non li si deve assolutamente toccare: i genitori sono sicuramente nelle immediate vicinanze.
E’ molto importante ricordare che molti mammiferi riconoscono i loro piccoli dall’odore e bisogna tener sempre conto di ciò quando per necessità si è costretti a maneggiare, seppur brevemente, un giovane. E’ il classico caso del piccolo riccio che attraversa la strada, e che possiamo aiutare prendendolo con un panno e riponendolo a pochissima distanza, fuori pericolo.
Per quanto riguarda i pipistrelli si seguono invece regole diverse, ma per ora non c’è rischio di entrare in contatto con dei giovani di queste specie: le femmine partoriscono a partire dagli ultimi giorni di giugno, e avremo tempo per approfondire l’argomento.
Al contrario, per quanto riguarda gli uccelli è bene sapere che la maggior parte di loro abbandona il nido quando ancora non è in grado di mangiare e di volare. Merli, passeri, cince e moltissime altre specie si allontanano dal nido molto precocemente, non appena hanno sviluppato un modesto piumaggio.
Iniziano così una nuova fase della loro vita, che alcuni paragonano alla nostra adolescenza: esplorano il mondo guidati a distanza dai genitori, che gli portano il giusto cibo e li informano sui segreti e sui pericoli della vita selvatica.
E’ frequente osservare i giovani uccelli in questa fase, e nonostante abbiano l’aspetto spaurito e molto tenero non dobbiamo giungere a considerazioni affrettate: non è stato assolutamente abbandonato dal genitore, che anche in questo caso sarà nelle vicinanze ad “educare” un altro piccolo della nidiata.
Non si deve pensare che prelevandolo lo salveremo dai gatti o da altre insidie: a un uccello non serve solo essere in grado di volare, cosa che sanno fare istintivamente sollecitati dai genitori, ma deve essere in grado di riconoscere e sfuggire ai predatori. Il genitore è l’unico in grado di fornire questo insegnamento. Quindi, salvo che il trovatello non sia totalmente implume e non si regga sulle zampe, non dobbiamo intervenire, se non per spostarlo nelle immediate vicinanze in un luogo riparato come ad esempio una siepe: i genitori riconoscono i propri piccoli dal canto – e non utilizzando l’olfatto – e lo ritroveranno facilmente anche se a breve distanza.
Molti mi chiedono ancora oggi perché questi giovani uccelli escono dal nido così presto, esponendosi a grandi pericoli da cui non possono difendersi e andando incontro a quella che molti credono sia morte certa.
La risposta, come sempre, ce la fornisce Madre Natura. Il nido è infatti il luogo più pericoloso che possa esistere per i giovani uccelli: pensiamo a cosa potrebbe accadere se un predatore lo raggiungesse. Inutile dire che morirebbero tutti! Se, al contrario, si allontanano e si disperdono nell’ambiente circostante, il predatore non riuscirà a scovarli tutti, e almeno uno o due esemplari della nidiata sopravvivono con successo.
Sia i piccoli sia i genitori hanno comunque numerose strategie di sopravvivenza messe in atto con successo.
Ad esempio queste specie depongono solitamente numerose uova (minimo 4), e possono nidificare anche due volte tra la primavera e l’estate. Le mamme poi possiedono un piumaggio molto mimetico per essere difficilmente individuabili durante la cova e, generalmente, nell’ambiente naturale: per questo sono di solito poco appariscenti, contrariamente ai maschi. Anche i piccoli sono particolarmente mimetici, e quando si nascondono immobili nel mezzo di una fitta siepe, sono praticamente invisibili, a noi come ai predatori.
Tutti questi accorgimenti tuttavia non saranno sufficienti a salvare tutti i piccoli: ci sarà quello più debole, o quello che commette un piccolo errore esponendosi troppo, oppure chi non sarà prudente rimanendo troppo visibile.
Il predatore, che deve a sua volta provvedere alla sopravvivenza dei suoi cuccioli, approfitterà di questi errori, in linea con i principi della catena alimentare.
Non si tratta di crudeltà: la natura non agisce secondo canoni e definizioni date da noi uomini. Rispettarla significa anche accettare che la morte esista, per noi come per tutti gli altri esseri viventi.
Pertanto, limitiamoci ad intervenire solo nel caso il piccolo sia ferito, ricordando sempre che nel dubbio – lo prendo o no? – possiamo contattare le associazioni animaliste ed ambientaliste che consiglieranno la cosa giusta da fare nello specifico caso.
La rubrica di Andrea Brutti per Il Respiro
Andrea Brutti e' esperto di tutela degli animali selvatici ed e' consulente di diverse associazioni animaliste nazionali; ha contribuito alla creazione del Centro Recupero Fauna Selvatica LIPU di Roma che ha gestito per 10 anni