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Da TRE UOMINI A ZONZO

  "Ditemi di che argomento tratta la poesia" disse il professore in tono incoraggiante.
  "Sì, signor professore" balbettò il primo interrogato. Parlava a testa bassa, con evidente riluttanza, come se si trattasse di un argomento dal quale lui, potendo fare a modo suo, si sarebbe volentieri astenuto, "tratta di una pulzella".
  "Sì," assentì il professore; "però voglio che tu lo dica con parole tue. Noi non usiamo dire una pulzella, diciamo una ragazza. Vai avanti."
  "Di una ragazza" ripeté l'allievo, e quella sostituzione parve accrescere il suo imbarazzo "che viveva in un bosco."
  "Che genere di bosco?" domandò il professore?
  L'allievo esaminò il calamaio con grande attenzione, poi alzò gli occhi al soffitto.
  "Avanti" disse il professore, un po' spazientito. "Non hai fatto che leggere la descrizione di questo bosco da un quarto d'ora in qua. Immagino che sarai in grado di dirmene qualcosa."
  "Piante contorte dai nodosi rami..." cominciò il ragazzo.
  "No, no!" interruppe il professore; "non ti ho detto di recitare la poesia. Voglio che tu mi dica con parole tue che specie di bosco era quello in cui viveva la ragazza."
  Il professore batteva il piede sul pavimento con impazienza. L'allievo si fece coraggio e dichiarò:
  "Era un bosco come tanti, signor professore".
  "Diglielo tu, di che specie era il bosco" scattò il professore, rivolgendosi a un altro allievo.
  Quello dichiarò che era "un bosco verde". La risposta irritò ancor più il professore, che diede della testa di legno al malcapitato (non vi so proprio dire il perché) e passò a un terzo allievo, il quale già da un po' aveva l'aria di star seduto sui carboni ardenti e tirava in su e in giù il braccio come un semaforo impazzito. Si capiva che, da un momento all'altro, avrebbe dovuto sbottar fuori anche se il professore non l'avesse interrogato. Aveva la faccia scarlatta ed era evidente che non ce la faceva più a tenersi dentro la propria scienza.
  "Era un bosco oscuro e triste" gridò il terzo ragazzo visibilmente sollevato.
  "Un bosco oscuro e triste" ripeté in tono d'approvazione il professore. "E perché era oscuro e triste?"
  Il terzo ragazzo si mantenne all'altezza della situazione.
  "Perché il sole non poteva penetrarvi."
  Il professore sentì di aver scoperto il poeta della classe.
  "Bravo. Perché il sole non poteva penetrarvi, o meglio, perché i raggi del sole non potevano penetrarvi. E perché i raggi del sole non potevano penetrarvi?"
  "Perché le foglie erano troppo fitte, signor professore."
  "Benissimo" disse il professore. "La ragazza viveva in un bosco oscuro e triste attraverso la cui volta di fogliame i raggi del sole non potevano penetrare. Ora, che cosa cresceva in quel bosco?" domandò poi, apostrofando un quarto ragazzo.
  "In quel bosco crescevano alberi, signor professore."
  "E che altro?"
  "Funghi velenosi, signor professore." Questo dopo una pausa.
  Il professore non era molto sicuro che fossero funghi velenosi, ma, dopo un'occhiata al testo, constatò che il ragazzo aveva detto giusto: vi si faceva menzione di funghi velenosi.
  "Va bene," assentì il professore: "I funghi velenosi c'erano. E che altro? Che cosa si trova sotto gli alberi di un bosco?
  "Ci si trova la terra."
  "No, no!" Che cosa cresce in un bosco oltre agli alberi?"
  "Oh, signor professore, cespugli."
  "Cespugli, va bene. Andiamo avanti. In quel bosco c'erano alberi e cespugli. E poi?"
  Così dicendo, additava un ragazzetto più piccolo degli altri, quasi in fondo all'aula il quale, avendo deciso che il bosco era troppo lontano per procurar delle noie a lui particolarmente, stava ammazzando il tempo con una partita a testa e croce contro se stesso. Offeso e disorientato, ma conscio della necessità di aggiungere qualcosa all'inventario che si stava facendo, nominò a caso le more. Era una topica: il poeta non parlava di more.
  "Naturale! Era da prevedersi che Klobstock avrebbe pensato a qualcosa di commestibile" commentò il professore, che ci teneva ad avere dello spirito. La frase provocò una risata generale alle spalle di Klobstock, e il professore fu tutto contento.
  "Tu," riprese, rivolgendosi a un ragazzo nella fila di mezzo "dimmi che altro c'era in quel bosco, oltre agli alberi e ai cespugli."
  "C'era un torrente."
  "Benissimo; e che cosa faceva il torrente?"
  "Gorgogliava, signor professore."
  "No, no... sono i ruscelletti che gorgogliano, mentre i torrenti... "
  "Muggiscono, signor professore."
  "Ecco, muggiva. E che cosa lo faceva muggire?"
  Era una domanda difficile. Un ragazzo... non era il più intelligente della classe, lo ammetto... s'arrischiò a dire che era la ragazza a farlo muggire. Per aiutarci, il professore formulò la domanda in altro modo.
  "Quando muggiva?"
  Il terzo interrogato salvò la situazione un'altra volta, spiegando che muggiva quando cadeva tra le rocce. Credo che alcuni di noi pensassero vagamente che doveva trattarsi di un torrente piuttosto pauroso, per fare tanto baccano per così poco; un torrente in gamba, secondo noi, si sarebbe rialzato e avrebbe tirato dritto senza dir parola. Un torrente che muggiva ogni qualvolta cadeva su una roccia era, a nostro avviso, un torrente privo di ardire; ma il professore non entrò in merito.
  "E cosa c'era di vivente in quel bosco oltre alla ragazza?" fu la domanda seguente.
  "Uccelli, signor professore."
  "Suvvia," fece il professore "come si chiamano quegli animali con la coda, che corrono su per gli alberi?"
  Meditammo per un bel po', alla fine uno di noi nominò i gatti.
  Era un errore; il poeta non aveva fatto la minima allusione ai gatti. Quello che il professore tentava di farci dire era "scoiattoli".


Traduzione di Alberto Tedeschi

Data: 31/03/2010
Autore: JEROME K. JEROME (1859-1927)
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