Agosto 1924
L’elce! L’albero più bello che esista! The ancestor’s tree l’ha chiamato Shelley. La quercia è troppo solenne, il cipresso troppo lugubre, il pino, il salice troppo piangente: ma il leccio! Eccolo lì! Vedete quanto è bello? Con quelle sue foglioline che ricordan l’olivo! Direi che esso ha unito alla maschia bellezza della quercia una certa grazia femminile simile a quella che i greci hanno saputo infondere alle loro statue virili. Nel cortile della casa dove io abito c’è un elce piantato da me.
Sapete com’è andata? Quando abitavo con babbo e mamma in via Laurina, avevo una terrazza piena di fiori e per alimentare quelle piante facevo portare ogni tanto del terrapieno dalla campagna. Fu così che vidi spuntare in una cassetta un germoglio nuovo. Per curiosità lo tirai su e vidi che proveniva da una ghianda. Lo ripiantai con cura, poi gli cambiai vaso.
Quando fu cresciuto lo misi in una cassetta. Capitò che dovemmo lasciare quell’appartamento ma l’elce io me lo portai dietro e lo piantai nel cortile del casamento nuovo e c’è ancora. Arriva già al secondo piano. Il guaio è che ora prevedo la sua vita in pericolo, perché il cortile è piccolo, lui per cercare la luce si alza, e toglie aria e luce agli inquilini. Più che tutto lo odiano le domestiche, che non possono intavolare da finestra a finestra le loro chiacchiere.
Ma finché sarò vivo, camperà anche lui: io lo proteggo.