In un recente articolo a proposito di “TAV e non solo” (Sette del Corriere della Sera, 7 luglio 2011), Antonio Polito è tornato su un tema che appare ormai un classico, più che del giornalismo, della sociologia contemporanea: la teoria dell’Anti-No, la critica a quel mondo -ambientalista, radicale, estremista- capace soltanto di essere contro, di opporsi. E’ un argomento facile e un po’ artificioso, ma che di solito funziona bene, come quelle minestre precotte che basta versare nella pentola seguendo poche istruzioni. Tre minuti, il pranzo è servito e magari non è neanche male.
Al richiamo della classica sindrome NIMBY (Not In My Back Yard, non fatelo nel nostro “giardino”), Polito affianca ora la denuncia di un nuovo male sociale, il cui acronimo suona al tempo stesso minaccioso e comico: BANANA, Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anyone. Non bisogna costruire assolutamente nulla da nessuna parte.
In questa posizione estrema, quasi giunglesca, Polito individua né più né meno che “un rifiuto dello sviluppo, per un ritorno a condizioni di sottosviluppo che conserverebbero meglio l’ambiente” e una filosofia che vede l’essere umano come “un nemico della natura, quasi un intruso sulla Terra”.
Il Popolo del No, scrive Polito, dice no a qualsiasi cosa: “no alle ferrovie e alle autostrade, alle centrali nucleari e alle pale eoliche, agli inceneritori e ai rigassificatori. E ovviamente, no alle basi militari. No a tutto”.
Ora, quest’ultima considerazione tradisce, essa sì, una sorta di inquietante estremismo. Per Polito, le ferrovie, le autostrade, gli inceneritori, le centrali nucleari, le basi militari, insomma le “infrastrutture”, sarebbero il “tutto”. Le “infrastrutture” costituirebbero la “struttura”, l’essenza, la nostra stessa vita. Il resto non conta o quantomeno non risulta, non merita citazione. L’aria salubre, i rapporti personali, il buon cibo, il silenzio, la musica, il pensiero, il sonno, l’ozio, il dubbio, l’agricoltura a chilometro zero, le biciclette, le strade sterrate, i prati, il paesaggio, la diversità biologica, gli stagni, le siepi spontanee, il camminare, le strade libere dalle macchine, le piazze in cui convivere, i bambini che giocano: cos’è, per Antonio Polito, tutto questo? Contorno? Conseguenze? Effetti collaterali?
C’è un momento drammatico, nella storia dei popoli e nella vita delle persone, in cui i mezzi sostituiscono i fini, li scalzano, e tu non ricordi più perché facevi una certa cosa, quale obiettivo ti guidava, quale sentimento ti ispirava.
Infrastrutture.
Forse dovremmo ribaltare il problema e dire che è in quel “tutto” che l’essere umano appare un intruso: nelle stazioni senza capostazione, nella globalizzazione delle merci, nei mercati che mandano falliti i cittadini greci perché un computer sta speculando ad Hong Kong, nel cemento che sventra i boschi e taglia in due le montagne. Nelle strade che servono strade che servono strade.
A tutto questo, il cosiddetto Popolo del No dice no. E fa bene. Se c’è un pensiero comune nel Popolo del No (per quanto esso non sia un “popolo”, non dica “no” univoci e non abbia le idee chiarissime su tutto -che male c’è ad ammetterlo?), esso sta nella convinzione che il concetto di sviluppo impostosi nei nostri tempi sia parziale e per molti versi dannoso. Che sia quello il vero “sottosviluppo”. Che ci siano altre vie ed altre possibilità, e che l’essere umano, tutt’altro che intruso, abbia in sé le capacità per edificare una modernità migliore.
Non sono i “no” ma certi irresponsabili “sì” che hanno fatto male all’Italia e a gran parte del mondo: quei “sì” rubati nell’indifferenza, sottratti con l’inganno, strappati con la forza, che hanno distrutto le coste, sfigurato i centri storici, deturpato le periferie e le campagne, svuotato i piccoli paesi, dimezzato le bellezze naturali, sperperato le ricchezze più preziose, maltrattato i patrimoni artistici, annientato intere comunità, fatto a pezzi il lavoro. Ho l’impressione che il problema non sia BANANA, ovvero che non si riesce a costruire assolutamente nulla da nessuna parte, ma il suo contrario: abbiamo costruito assolutamente tutto, assolutamente dappertutto, e non ci basta ancora (qualcosa come BEEF, Build Everything Everywhere Forever).
La minestra cucinata dagli Anti-No è destinata a non sfamare mai. Alimenta una bestia che ha sempre fame e che quando mangia si affama ancora, di una fame insana. E’ la bestia dello sviluppo senza meta, il vero intruso. In Val di Susa come in ogni angolo di questo piccolo, splendido, pazientissimo pianeta Terra.