Enorme è stato il mutamento del quadro dell’economia e della società che nel corso del secolo XX si è dovuto registrare in tutto il mondo, anche nelle sue parti più arretrate: anzi, in queste parti arretrate, che poi sono quelle prevalenti nel contesto mondiale, lo si è notato ancora di più, poiché una particolarità dello sviluppo di questo periodo è che esso ha indotto mutamenti profondi nelle mentalità e nei comportamenti anche molto prima, o addirittura senza che si producessero i mutamenti strutturali e reali, ai quali nelle parti più avanzate sono legati simili mutamenti di mentalità e di comportamento.
In Italia, di tutto ciò si presenta un caso esemplare, e per una doppia ragione: perché il paese non è stato tra i first comers dello sviluppo economico e sociale avviato dalla “rivoluzione industriale”, e perché in esso è sopravvissuto, e dura tuttora, un dualismo strutturale tra la parte più avanzata e quella relativamente arretrata, quasi compendiando in un unico scenario l’accennata casistica presente su scala mondiale.
In linea di massima, la politica e l’azione economica e sociale dei governi hanno seguito nel corso del secolo XX con varia tempestività le diverse esigenze determinante dai mutamenti strutturali, dalle loro conseguenze a livello delle mentalità e dei comportamenti, nonché dallo storico dualismo del paese. Il pregiudizio per cui è sempre la politica a essere in ritardo rispetto alla società e ai suoi sviluppi culturali e materiali non è, perciò, del tutto fondato nemmeno nel caso dell’Italia, che pure passa per essere un paese di quelli che più risentono di una classe politica e di un ordinamento istituzionale inadeguati alla portata e alle esigenze dei suoi problemi.
Su un punto, tuttavia, si può parlare di un sicuro e grave ritardo della politica, e, cioè, nella considerazione specifica e generale del territorio quale quadro operativo dei disegni e dell’azione politico-amministrativa: un punto sul quale gli studi hanno avuto, invece, una grande continuità propositiva e innovativa. Basti pensare alle sorti della programmazione territoriale, paesistica e urbanistica, pur prevista da varie leggi, e tuttora largamente carente.
Le conseguenze, evidenti, si vedono nell’assurdo spreco della preziosa risorsa-paesaggio, nei molti irrazionali usi del territorio, nella crescente congestione urbanistica e in altri simili elementi, nonché in vari aspetti delle stesse attività economiche, che, pure, sono in molti a credere avvantaggiate da un’assenza o da una larga inapplicazione delle normative vincolistiche nell’uso del territorio.
Occorre ripetere che la valorizzazione del territorio non è solo un’esigenza estetica e razionalistica, ma una condizione concreta e specifica di attività che vanno dal turismo alla individuazione di localizzazioni e distretti industriali? O che essa è un’esigenza globale, da non attuare con interventi e provvedimenti isolati, ma con una visione generale del territorio? O che questo presuppone una piena e valida infrastrutturazione del territorio stesso? O che è vano protestare contro i vincoli paesistici e urbanistici, perché senza vincoli di in materia di trasformazione e di uso o destinazione è materialmente impossibile anche solo parlare di una politica, quale che sia, del territorio?
Fra le molte deficienze e carenze della politica italiana nel corso del secolo XX quelle relative al territorio figurano, forse, con un triste primato. E, anche se in alcune parti del paese il problema presenta aspetti e condizioni più gravi – come, in generale, nel Mezzogiorno, in alcune zone il problema tocca alcuni dei suoi vertici nazionali – e in altre sono diverse le condizioni e più soddisfacenti o meno insoddisfacenti. Un problema, dunque, comunque nazionale, ma che, proprio perché tale, dovrebbe anche prestarsi a essere più facilmente affrontato in modo organico e nelle giuste prospettive.
Aspettiamo ancora, invece, che venga definita appieno la normativa per le aree metropolitane; che si promuovano e si pratichino intese interregionali, a questo come ad altri riguardi; che tutela e protezione del paesaggio siano esercitate in modo molto più valido di quello che si vede; e che le aree industriali e i servizi trovino localizzazioni organizzate finalmente soddisfacenti. E vorremmo solo aggiungere qui, in primo luogo, che non si tratta, in fondo, di pianificare chissà quanto e come, ma solo di agire per determinare dimensioni funzionali del quadro territoriale in cui si opera e, quindi, anche delle attività che vi svolgiamo; e, in secondo luogo, che noi abbiamo parlato dell’Italia, ma non si creda che anche nei paesi più avanzati dell’Occidente tutto sia in ordine e soddisfacente e che dal punto di vista da noi accennato non vi siano problemi, e anche problemi seri.