Scrittore e drammaturgo, Luca Di Fulvio ha spesso indagato letterariamente nelle spire più tortuose dell'animo umano (suo ultimo romanzo è Il grande scomunicato, Bompiani) pubblicando su carta riciclata come vuole la campagna "Scrittori per le foreste" lanciata da Greenpeace. Un segno di attenzione condiviso da altri autori, per cui subito gli domando:
gli animali, gli alberi, le bellezze naturali hanno sempre ispirato letterati, poeti, artisti: prima sembravano risorse illimitate, ora sappiamo che non lo sono più. La progressiva distruzione del pianeta sta cambiando anche il linguaggio creativo e i suoi argomenti?
La parola "creativo" allude al futuro. Perciò, sì, sta cambiando tutto. Sta cambiando la percezione del futuro. Mentre un tempo il futuro era una astrazione infinita, ora ha una data di scadenza, un perimetro. Si intuisce la parola "fine" all'orizzonte del futuro.
Se da un lato nell'era degli straconsumi siamo massimamente distruttori e superficiali, dall'altro fioriscono nuove sensibilità molto forti e diffuse per la difesa di natura e ambiente. Una linea di demarcazione molto sottile: tu da quale parte stai?
La mia famiglia possiede della terra, in un posto che assomiglia a un "normale" paradiso. Se qualcuno di noi eredi dovesse mutarla, costruire, speculare, la terra passerebbe allo Stato per essere assimilata alle zone di ripopolamento naturale. C'è bisogno che dica da che parte sto? Vorrei solo che certi bambini potessero avere il privilegio di svegliarsi in una baita senza elettricità e scoprire che non solo si può tranquillamente sopravvivere ma anche bearsi di vedere dei caprioli, all'alba, brucare l'erba sul limitare del bosco. Se si potesse sperimentare questa emozione, non ci sarebbe discussione.
Purtroppo è un privilegio. Ecco, se dovessi dire, starei dalla parte di chi garantisse a tutti gli uomini di vivere la natura.
Plutarco, Seneca, Leonardo da Vinci, Tolstoj, Einstein: vegetariani nel rispetto del diritto alla vita di ciascun individuo. Perché per molti è ancora così difficile?
Non sono così severo. Forse bisognerebbe dire alla gente che elefanti e tartarughe vivono parecchio di più di leoni e tigri. Magari in questa ricerca di immortalità che sembra caratterizzare la nostra società qualcosa sortiremmo. Ma non è facile. Ripeto, non sono così severo. Mi spiace, però. Tanto.
Rispetto alle catastrofi naturali, grandiose e terribili c'è sempre un senso di ridimensionamento dell'uomo, ma allo stesso tempo non si torna indietro nella corsa alla distruzione: possibile che un animale tanto organizzato e invasivo si affidi al fatalismo?
Anche il cancro è un organismo organizzato e invasivo. Ma questo non significa che calcoli che, finito di divorare l'ospite da cui dipende, morirà per forza anch'esso. Ricordo quando si decretò di farla finita con quegli idioti esperimenti sul nucleare. Per un problema di principio e di potere la Francia si impuntò e disse: "No, a noi ne spetta un altro". E lo fece. I signori che affermarono quel loro diritto, oltre a sbattersene del habitat di quelle fantastiche isole che stavano devastando, se ne sbatteva dei propri figli e nipoti, no?
Siamo sempre sul discorso sul futuro. Ormai futuro significa "la mia cavolo di vita". Il resto che si fotta.
Quali sono i luoghi comuni letterari da evitare nella descrizione della natura?
Nessuno. La natura non ha luoghi comuni. E' feroce? Sì, assolutamente. E' giusta? La giustizia non è un criterio naturale. La natura non va giudicata ma sperimentata, vissuta. E quel che si vive, con tutto se stessi, non può fermarsi al cervello, al nostro misero pensiero. La natura è meglio di noi, perché non solo ci comprende, ma è capace di comprendere anche quello che ci contraddice.