Il furto di un animale è sempre un'azione orribile, che va a recidere quel legame di affetto e amicizia spesso profondissimo che lega le persone a cani, gatti, cavalli, uccelli, perché no, anche rettili. Questi infatti sono, uno a uno, individui con i quali dividiamo il nostro tempo e la nostra vita.
Il caso di Tommaso e Alì ci commuove tutti, poiché il vincolo che unisce il ragazzo e il cane appare a maggior ragione inviolabile, seguendo l'umano modo di ragionare. Corrisponde a una necessità primaria, a qualcosa che Tommaso ha perduto e Alì gli restituisce, attraverso un devoto e insostituibile scambio.
Ma se possiamo farci liberi interpreti dei suoi pensieri, in questi momenti di angoscia Tommaso non starà ragionando solo su di sé, quanto anche sulle sorti del suo amico. Cosa gli sarà capitato, sarà vivo, e in quali condizioni? Cosa starà provando - paura, smarrimento, dolore?
Per chiunque viva con un animale amato, subirne la sottrazione arbitraria equivale a una violenza terribile, la perdita effettiva di un membro della famiglia: un dato che la nostra società tiene ufficialmente in modesta considerazione e al fondo rifiuta.
Se infatti esistono leggi penali - ancorché in parecchi casi difficili da applicare - contro il maltrattamento e l'uccisione delle altre specie, il furto di un cane o un gatto viene in sé recepito come quello di una cosa. In questo senso, presso i nostri tribunali, gli animali sono res e come sottrazione indebita di oggetti il reato viene perseguito, a meno che non siano dimostrabili altre azioni delittuose.
Nella speranza che Alì possa tornare a casa e Tommaso si senta comunque sostenuto da una solidarietà tanto ampia, sarebbe importante aprire a un nuovo ragionamento normativo.