Colate di lava, boati, getti che s'innalzano per più di 400 metri, una gigantesca nuvola di cenere sparpagliata dal vento dell'Est: è la voce dell'Etna, uno dei due vulcani considerati attivi in Italia. L'altro è Stromboli, e entrambi godono di tale definizione grazie alle eruzioni frequenti e per le condizioni di attività a condotto aperto vengono considerati poco pericolosi.
Vi sono poi i vulcani definiti quiescenti, ovvero Colli Albani, Campi Flegrei, Ischia, Vesuvio, Salina, Lipari, Vulcano, Isola Ferdinandea e Pantelleria: questi hanno registrato eruzioni negli ultimi 10mila anni (quelli immobili da un periodo maggiore si reputano estinti) ma allo stato attuale sono a riposo. La frequenza eruttiva più bassa va a Vesuvio, Vulcano e Campi Flegrei, che si trovano inoltre in situazione di condotto ostruito. Quello considerato più temibile è il Vesuvio, che ha registrato nella sua storia lunghissimi periodi di inattività - anche decine di secoli, alternando fasi eruttive a condotto aperto a fasi di riposo con il condotto del vulcano ostruito durante le quali si accumula magma in profondità.
La violenza dell'eruzione a condotto ostruito, talvolta catastrofica e caratterizzata da un elevatissimo indice di esplosività, è propria della ripresa di attività dopo un lungo periodo di quiescenza, durante cui il vulcano ha emesso acidi causando frane che l'hanno parzialmente occluso. Altri fenomeni di alterazione chimica possono contribuire a creare un vero e proprio tappo che impedisce la fuoriuscita dei gas, finché non viene espulso dalla pressione interna con una forza che fa tremare la terra.
Abbiamo infine, fra il Tirreno e il Canale di Sicilia, parecchi vulcani sottomarini. I più famosi sono Marsili, Vavilov, Magnaghi e Palinuro.