I momenti di crisi, le preoccupazioni diffuse, ci forniscono l'occasione di rivedere il nostro modo di vivere. Mettendoci in difficoltà ci costringono a quel riesame cui vorremmo fosse sottoposto un sistema ben più ampio, però intanto accontentiamoci delle nostre modeste persone. Come suggerisce il celebre Manuale di Epitteto, è bene curarci di quanto è di nostra pertinenza e nelle nostre possibilità.
I movimenti della terra devono intimidirci sempre più di quelli della borsa, ma in questo panorama generalmente poco rassicurante non lasciamoci sballottare dalle scosse e riflettiamo. Se i peggiori timori, a parte malattia e morte s'intende, sono quelli di perdere e rinunciare, incominciamo subito a considerare quanto abbiamo di superfluo. La povertà è una cosa, e con essa s'intende la difficoltà a procurarsi cibo e cure, non disporre di alloggio e abiti. A partire da tale condizione esiste una scala molto variegata lungo la quale ciascuno, comprensibilmente, si augura di non perdere posizioni.
Valutare tuttavia un ridimensionamento prima ancora di esservi obbligati, immaginare di poter funzionare - forse meglio - anche a basso regime, è un esercizio utile e rasserenante.
In questo, gli animali e le piante sono maestri di essenzialità. E' ovvio che ogni specie è a sé, la nostra ha maturato esperienze meravigliose e esigenze infernali, ma la lezione interessante è che la natura da cui tutti proveniamo propone un equilibrio originario privo di sprechi, in cui ogni azione è senza sforzo rapportata alle esigenze dell'individuo e del suo contesto. E nessuno si sente povero o deprivato; si è semplicemente liberi.