Alle pendici delle Alpi Apuane e a pochi chilometri dalla costa della Versilia, è situata la cittadina di Pietrasanta. Un palcoscenico millenario di boschi e di rocce imbiancate dalle colate di marmo fa da sfondo a questo paese che per secoli è stato abitato (ed è tutt’oggi frequentato) dal gotha della scultura. E non a caso proprio a Pietrasanta ho incontrato, l’artista Bruto Pomodoro. Sulla facciata principale della sua casa paterna vi sono tre medaglioni con i simboli della scultura. All’interno dell’edificio si apre inatteso, un giardino incontaminato dove regna ogni forma di vita. Non ci sono confini tra l’universo artistico di Bruto e quello naturale, solo infinite trasmutazioni. Il fossile che va mostrandomi, diventa l’archetipo del suo linguaggio pittorico e scultoreo. E dall’archetipo comincia un andirivieni di biomorfismi dalla testuggine che attraversa silenziosa il prato al Disgiunto Disteso, dall’onda dell’acqua formatasi dal tuffo del germano nel lago, al Disgiunto Ondamarina. Il rispetto rigoroso della tenuta classica dell’opera con la sapiente gestione della materia e della tecnica che è alla base della ricerca artistica di Bruto, restituisce nelle sue sculture quel senso di plasticità che appartiene a tutte le figure disegnate in natura.
Dalla povera Gaia morente in un angolo del giardino, si libera quel soffio vitale che diventa flusso energetico risucchiato nel ciclo centrifugo e centripeto del continuo divenire. “Sono pragmatico di fronte alla morte” afferma Bruto mentre un velo di tristezza adombra il suo sguardo per la perdita della fedele cagnetta.
Ma in verità il movente di questa sua indagine tra la scienza e l’arte è il desiderio di dialogare con l’eternità, con ciò e con chi non è più o semplicemente è confluito in quell’energia universale che tutto regola.
“I Disgiunti nascono come errore di valutazione sui piani di slittamento delle superfici“ confessa Bruto sollevando una piccola resina dalla scrivania.“ Ma poi mi sono reso conto che potevano avere una loro compiutezza estetica e plastica, bastava solo rispettare i limiti strutturali di tensione della materia.”
Tutta l’arte di Bruto è un tentativo di cogliere in ogni singolo elemento l’armonia presente in natura. Che la fondamentale unicità dell’universo sia una delle più importanti rivelazioni della fisica moderna è ormai risaputo, ma che questa sia la sola strada per il superamento del dolore e degli affanni dell’uomo, è stato dimenticato. E l’arte di Bruto è un atto d’amore verso ciò che muore e rinasce, realizzato attraverso un percorso di riappropriazione di questi principi originari.
Bruto si chiude alle spalle la porta di casa lasciando fuori dal suo mondo interiore il rumore roboante di una Pietrasanta forse impoverita dalla contemporaneità, perduta Castilia dell’arte. Racconta degli aborigeni e della loro preziosa civiltà estinta, della loro Via dei Canti attraverso i quali davano forma al mondo e delimitavano i confini territoriali. Del loro superamento dell’individualità nel collettivo spirituale legato indissolubilmente all’ambiente circostante.
“Noi piantiamo gli alberi e gli alberi piantano noi” dichiarava Joseph Beuys affermando il tema dell’energia in senso cosmico.
E come l’opera di Beuys ha avuto un presupposto sociale così l’opera di Bruto riconduce l’uomo contemporaneo ad un’etica da seguire in un mondo sempre più in crisi, dove si sono innescati meccanismi autodistruttivi. Le sue forme organiche trasudano vita e sapienza in una realtà dell’arte nella quale la forma stessa si è appiattita, lasciando solo carcasse vuote. Con Bruto torna a riaffermarsi contro le attuali cadute di tendenza dell’arte, la personalità artistica intesa nel suo spessore morale e spirituale. L’artista ha il dovere dell’impegno intellettuale nei confronti della comunità a costo di risultare “pesante” e “scomodo” ed essere relegato ai margini del sistema consumistico.
Non c’è tecnica o teoria che Bruto non abbia perseguito e sperimentato con serietà e sacrificio nella sua carriera artistica, e questo lo dimostrano le numerose e differenti opere dal ’94 ad oggi. Il suo complesso linguaggio artistico stimola la riflessione ed un pensiero critico gettando le basi per una nuova deontologia dell’esistenza.
I Codici algenici di Bruto derivati dalle scoperte della genetica in campo scientifico, diventano un alfabeto codificato d’informazioni, dove l’artista svela l’indissolubile legame dei suoi biomorfismi alla matrice archetipo puntando così i riflettori sul pericoloso mercato genetico della clonazione.
Per un attimo Bruto accenna ad Hermann Hesse e al giuoco delle perle di vetro, al modo di giocare con i principi stessi e i valori della cultura in un’epoca del feuilleton nella quale dilaga la ricerca del gusto facile, dello svago, della distrazione o dell’evasione.
Nelle sue forme c’è continuità e mai rottura, la geometria stessa con i suoi piani di lettura è rielaborata in linee morbide e flessuose, superfici levigate da sedurre la mano e la mente.
Seppur nato nell’ambito scientifico il linguaggio artistico di Bruto si carica di una valenza estremamente poetica e narrativa. Il suo apporto emozionale al mondo dell’arte e più che mai autentico in quanto svincolato da ogni individualismo e sollecitato da un amore profondo per la vita e il rispetto per le sue innumerevoli forme.
Pietrasanta, 10 agosto 2011
Dall’8 settembre al 27 novembre 2011 sarà aperta al pubblico la mostra "Biomorfismi plastici" di Bruto Pomodoro a cura di Roberta Semeraro allestita nelle sale espositive di Palazzo Zenobio, Collegio Armeno Moorat Raphael, Dorsoduro 2596, Venezia.