Uno dei primi ricordi della mia infanzia è l'odore della stalla. Le domeniche d'autunno i genitori mi portavano a casa degli zii, nella bassa friulana, che confinava con la fattoria dei mezzadri, tripudio di ogni sorta di animali, e lì mi lasciavano a grufolare tra mucche e vitelli fino a sera, quando correvano a riprendersi un fagotto sudicio- la loro figlia- col proposito di ficcarlo prima possibile nella vasca da bagno.
Era un odore buonissimo, un misto di letame di erba e di fiati caldi che nel tempo non ho più ritrovato: le stalle moderne sono tecnologiche e perfettamente asettiche e magari andrà bene così.
Cinquant'anni dopo, era domenica scorsa, in un pascolo sui monti Lessini punteggiato di mucche, ho incontrato lei; mentre le altre, ostili alle smancerie dei villeggianti ci ignoravano o ci voltavano infastidite la schiena, lei è rimasta seduta mentre mi avvicinavo e poi le accarezzavo il muso e le orecchie, e in quel naso umido di colpo mi è tornato l'odore inebriante di quella stalla.
Siamo rimaste un po' così, molto contente tutte e due, e mi sono domandata: a chi puo' venire in mente di mangiare qualcuno che socchiude gli occhi mentre gli gratti il mento?