Sempre meno la caccia viene percepita dalla collettività come un problema squisitamente animalista e ambientalista ma in realtà motivo di disagio, danno e pericolo per qualsiasi cittadino. Solo i media stentano ancora, salvo rare occasioni, a proporla con schiettezza in qualità di tema sociale di ampio respiro, relegandolo a interessi minoritari e ignorando per esempio quanto simile pratica possa incidere per molti mesi l'anno sulla vita di coloro che risiedono fuori dai centri urbani, e non solo.
I più recenti sondaggi vedono infatti la maggioranza dei cittadini abolizionisti, a fronte del diletto di settecentomila individui (dimezzati rispetto al milione e mezzo degli anni Novanta) che le istituzioni tentano di favorire in ogni modo attraverso continui tentativi di deregolamentazione in barba alle normative comunitarie e alle sanzioni che già gravano sul nostro Paese per lo sterminio di un numero incalcolabile di animali protetti.
Perché? Viene da domandarsi. In parte la risposta segue logiche di consenso politico, soprattutto locale. Dato che la pratica venatoria presuppone rischi per il pubblico e l'uso delle armi, richiede il necessario sostegno delle autorità. Non solo il cacciatore vota con costanza, che sia a destra o a sinistra, ma spedisce alle urne moglie, figli, nonno e cugini.
Quindi esiste un altro piano di interessi, dove la politica al solito sposa l'industria.
Nel caso della caccia, esiste una particolare produzione che costituisce il cuore della vicenda. Quegli utensili con l'esclusiva funzione di uccidere, chiamati armi.
Nella legalità, le armi si usano in guerra, nella sicurezza pubblica, per la difesa personale e per la caccia. Nei primi due casi, le armi sono appannaggio di militari e polizia. Nel terzo caso, nel nostro Paese, per fortuna non sono ostentate, né concesse con grandissima facilità.
La caccia, in ultima analisi, rimane dunque il ponte fra le armi (di cui l'Italia è ricco produttore e esportatore) e il comune cittadino.
La caccia e i cacciatori costituiscono l'unica normalizzazione possibile dell'immagine delle armi in mezzo alla gente. Consentono la diffusione di materiale - fiere, riviste, dvd - che ne promuovono più o meno direttamente la vendita.
Facilitare i viaggi dei cacciatori che accompagnati dai loro strumenti vanno a sparare a leoni, elefanti, giraffe, orsi in giro per il pianeta, andare a sparare a leoni, elefanti, giraffe, orsi, significa creare regolamentazioni particolari che facilitano indirettamente la circolazione irregolare di altre armi leggere: alla medesima categoria appartengono infatti anche bombe a mano, mitragliette e altro con cui si combatte la maggior parte delle guerriglie che insanguina il pianeta.
Da noi, come sappiamo, grazie all'articolo 842 del Codice Civile, i cacciatori possono entrare nelle proprietà altrui, a meno che non siano costosamente recintate, e sparare fino a 150 metri dalle abitazioni. Anche con carabine che raggiungono gittate di varie migliaia di metri, pari ad armi da guerra.
I requisiti minimi imposti dal Ministero della Salute per concedere licenze venatorie sono incredibili: se per la difesa personale bisogna perlomeno contare su vista binoculare, per la caccia si può essere monocoli, e portare gli occhiali. Inoltre, gli arti superiori possono essere sostituiti da protesi, "purché buone". Un cacciatore può possedere un vero e proprio arsenale.
Di continuo si tratta la questione sociale della violenza, si dibatte su aggressività e metodi contenitivi o repressivi. Ma quando leggiamo "in un raptus ha sterminato la famiglia con il fucile e poi si è tolto la vita", ci domandiamo mai da dove venisse, quella carabina? Qualcuno ce lo spiega?
A parte i frequenti incidenti durante l'attività venatoria, che non coinvolgono solo i suoi protagonisti consenzienti, davvero vogliamo continuare a ignorare la presenza di queste armi nelle case delle persone - quante sono? - il loro potenziale e il loro significato?