Violato, abusato, distrutto e modificato il nostro paesaggio chiede aiuto. Si potrà mai salvare? Potremo mai tornare indietro?
Professore associato di Pianificazione del Territorio Rurale e di Storia presso la Facoltà di Agraria di Firenze, coordinatore del Laboratorio per il Paesaggio e i Beni Culturali (CULTLAB), e la redazione degli indirizzi per il paesaggio nell’ambito del Ministero Piano Nazionale di Sviluppo Rurale (2007-2013) del Ministero per le Politiche Agricole Alimentari e Forestali, dal 2006 Mauro Agnoletti è anche esperto del Consiglio d’Europa per la Convenzione Europea del Paesaggio. E per la valutazione del paesaggio e dell’International Consortium of Monuments and Sites (ICOMOS) per l’Unesco, nonché direttore della rivista Global Environment. Agnoletti sarà fra i relatori del Convegno “Produrre Cultura: Patrimonio, Paesaggio, Industria creativa- Dialogo verso Florens 2012” Firenze sabato 29 ottobre dalle 15 alle 18 a Palazzo Vecchio; www.fondazioneflorens.it.
Professore, chi minaccia maggiormente il paesaggio italiano?
Il paesaggio italiano nel suo complesso (paesaggi urbani, periurbani e rurali) è minacciato da fenomeni di natura diversa. Il paesaggio agrario nel lungo periodo risente soprattutto dall’abbandono e dal ritorno del bosco sui terreni coltivati e sui pascoli. Altro fenomeno è l’industrializzazione dell’agricoltura che ha degradato il mosaico paesaggistico. Ambedue i fenomeni hanno banalizzato ed omogeneizzato un paesaggio un tempo molto vario e ricco di biodiversità. I paesaggi urbani hanno perso soprattutto in termini di qualità. L’espansione delle periferie e le nuove urbanizzazioni non hanno in generale tenuto conto della qualità architettonica, si sono sviluppate in modo disordinato, senza una buona pianificazione, degradando aree di alto pregio paesaggistico, come le nostre coste.
Quali sono i punti più a rischio?
Le aree costiere e le zone periurbane delle grandi città sono le aree oggi più a rischio, mentre le montagne e le colline abbandonate dall’agricoltura generano dissesti idrogeologici ed altri rischi ambientali. Alcune aree agricole sono caratterizzate da una eccessiva espansione delle monocolture industriali, fra le quali ormai rientrano anche i vigneti, eliminando la varietà delle colture tipiche di molti paesaggi agrari.
E quali sono i mutamenti più evidenti (o pericolosi) avvenuti negli ultimi trenta, cinquant'anni?
Nel corso degli ultimi 100 anni abbiamo perso circa 12.000.000 di ettari di terreni agricoli (erano 26.000.000) e il bosco è passato da circa 4.000.000 a 10.500.000 ettari. Non c’è molto di positivo in questo processo, dato che, fra l’altro, siamo costretti a importare il 45% dei cereali dall’estero. Perdiamo una media di 200.000 ha di terreni agricoli all’anno. Negli ultimi 40 anni invece l’industrializzazione ha degradato il paesaggio agrario, determinando la scomparsa delle colture agricole tradizionali e la perdita della originaria diversità. Negli ultimi 20 anni è probabilmente l’aumento delle aree urbanizzate il fenomeno più eclatante, che hanno eroso le zone agricole più fertili intorno alle città situate nelle pianure.
L'agricoltura sta scomparendo dal nostro paese, mentre potrebbe tutelare il nostro paesaggio. Non è così?
Certo. Per l'agricoltura è oltretutto conveniente tutelare il paesaggio. Si tratta infatti di un valore aggiunto non riproducibile dalla concorrenza. Un buon vino oggi si può fare dappertutto mentre invece il paesaggio associato ad un buon vino rende il prodotto unico e più competitivo, perché il consumatore oggi compra un prodotto tipico associandolo alla qualità del luogo di produzione. Oltre a questo, il turismo rurale è un attività che genera introiti spesso superiori alla produzione agricole e in zone svantaggiate come il meridione ha visto incrementi superiori all’80 %. Inoltre, il presidio del territorio realizzato tramite le pratiche agricole tradizionali permette di prevenire il dissesto idrogeologico e conservare la biodiversità associata al paesaggio, assicurando anche la qualità della vita delle popolazioni. Molte aree agricole sono ormai diventate luoghi privilegiati di residenza, con incrementi notevoli dei valori fondiari, non per aspetti produttivi, ma per la qualità del paesaggio.
Cosa dobbiamo cercare e guardare in un paesaggio?
Dobbiamo essere soprattutto in grado di riconoscere l’identità del luoghi che il paesaggio esprime. Viviamo in un periodo storico caratterizzato da un processo di globalizzazione, a livello produttivo e di politiche ambientali, che tende a rendere tutti i paesaggi uguali. Monocolture industriali rivolte a produrre con metodi e tecniche sempre uguali, dannose alla qualità ambientale e non sempre vincenti dal punto di vista economico, da un alto, e un’idea di “ritorno alla natura” estranea e al nostro paesaggio dall’altro, contribuiscono al degradare il risultato di una secolare integrazione fra uomo ed ambiente, che il mondo ci ha sempre invidiato, e che rappresenta il punto di forza del nostro paesaggio. Se non siamo in grado di riconoscere le tante forme del paesaggio italiano e le loro qualità, non potremo essere in grado di difenderlo, anche per questo motivo è stato realizzato il catalogo nazionale del paesaggio rurale storico, ma bisogna prima di tutto credere nel nostro paese e nella sua cultura.
Come si possono salvaguardare le diversità paesaggistiche del nostro territorio?
Non possiamo salvaguardare un paesaggio semplicemente applicando dei vincoli, i maggiori fenomeni di abbandono oggi avvengono nelle aree protette e nelle aree sottoposte a vincolo idrogeologico. I vincoli servono più a limitare nuove edificazioni che a limitare le trasformazioni degli usi del suolo. La soluzione è indirizzare i processi produttivi verso obiettivi di qualità paesaggistica che tengano insieme economia, ambiente e società. Il paesaggio può essere un nuovo paradigma per un diverso modello di sviluppo, uscendo dal dualismo fra produttivismo e naturalità che caratterizza il nostro tempo.
Un luogo a cui è molto legato e che vorrebbe preservare a ogni costo?
Non ho un luogo particolare, amo l’Italia, vorrei conservare il paesaggio italiano e caso mai migliorarlo, in modo che possiamo tutti sentirci felici di vivere nel nostro paese e costringere i paesi stranieri a guardare all’Italia con ammirazione , come hanno fatto per secoli, dal “Gran Tour” in poi.
Coordina il laboratorio per il Paesaggio e i Beni Culturali (CULTLAB) e la redazione degli indirizzi per il paesaggio nell'ambito del Piano Nazionale di Sviluppo Rurale del Ministero per le politiche Agricole Alimentari e Forestali. Quali sono gli errori più gravi di questo governo in particolare?
Nel dibattito sulla crescita che attraverso il nostro paese il paesaggio ed i beni culturali sono purtroppo assenti. Mi pare non si tenga conto che il patrimonio paesistico rappresenta un “capitale” sul quale investire per assicurare il progresso economico e sociale della nazione e che l’identità storica può essere un fattore di successo.
Convegno
Produrre cultura. patrimonio, paesaggio, industria creativa
Dialogo verso Florens 2012
Sabato 29 ottobre 2011, ore 15 – 18
Palazzo Vecchio, Firenze
Promosso da Fondazione Florens i cui soci sono Intesa Sanpaolo, Banca CR Firenze, Confindustris Firenze e CNA Firenze
Coordinano
Andrea Carandini, Walter Santagata, Mauro Agnoletti
Direzione Culturale Florens 2012
Modera
Davide Rampello
Direttore artistico Florens 2012
Apertura
Giovanni Gentile
Presidente della Fondazione Florens
Intervengono
Andrea Carandini
Presidente del Consiglio Superiore per i Beni e le Attività Culturali, Professore Senior de La Sapienza, Università di Roma
Roberto Cecchi
Segretario Generale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Andrew Wallace-Hadrill
Professore di Studi Romani del Sidney Sussex College, Cambridge University
Mauro Agnoletti
Professore Associato di Pianificazione del paesaggio rurale e storia dell’ambiente dell’Università degli Studi di Firenze
Giuseppe Blasi
Direttore Generale, Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Direzione della competitività per lo sviluppo rurale
Parviz Koohafkan
Direttore della Divisione Terra e Acqua, FAO
Walter Santagata
Professore Ordinario di Scienze delle Finanze dell’Università degli Studi di Torino
Massimo Marrelli
Rettore dell’Università degli Studi di Napoli Federico II
Andy C. Pratt
Professore di Cultura, Media e Industria Creativa del King’s College, Londra