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Spirito della rivoluzione: l'Egitto si muove anche per gli animali e l'ambiente

 In questo momento di cambiamenti epocali e sogni da realizzare, in Egitto le proteste pubbliche sono il modo per piantare una bandiera in nome di una giusta causa. Sono molti i motivi politici, sociali, economici per cui lottare. Ma c’è stata una protesta, offuscata dalle altre rivolte al benessere e alla crescita del popolo egiziano, che è degna di nota poiché ha il sapore di una lotta per un ideale: il rispetto per tutti gli altri esseri viventi. In un certo senso, la protesta ha rappresentato in Egitto un momento storico della campagna in difesa degli animali e un grido di speranza in nome di coloro che noi esseri umani, i più intelligenti della terra, dovremmo proteggere. Un appello alla responsabilità. La protesta si è tenuta il 16 aprile, davanti allo zoo di Giza. C’erano tutte le storiche organizzazioni egiziane a battersi insieme in difesa dei diritti degli animali. La ESAF (Egyptian Society for Animal Friends) con cui il JGI Italia collabora per la promozione dell’educazione ambientale e per il benessere dei primati, la Animal Welfare Awareness Research (AWAR),la ESMA (Egyptian Society for Mercy of Animals), la SPARE Society for the Protection of Animals, Donkey Sanctuary, la Animal Abuse in Egypt Group Hurghada, oltre ad alcuni stranieri, compresa la sottoscritta in rappresentanza del Jane Goodall Institute. Nessun credo politico o religioso avrebbe potuto dividere la coalizione. Le principali ragioni della protesta erano la richiesta di migliorare le condizioni di vita degli animali degli zoo egiziani; la separazione della CITES dalla amministrazione e gestione degli zoo;  supporto a favore degli animali che popolano le città, da cani e gatti, ad asini e cavalli. L’impulso alla protesta è venuto dalla morte di uno dei tre orango arrivati recentemente allo zoo di Giza e dall’inutile isolamento di due scimpanzé, tenuti singolarmente per ragioni espositive, senza tener conto del loro naturale bisogno di socializzare con altri simili. La situazione allo zoo di Giza non è cambiata rispetto alla mia ultima visita di circa un anno fa, fatta eccezione per la presenza dei due oranghi sopravvissuti e che non avevo visto l’ultima volta. Ho trovato lo zoo un pò più pulito. Le condizioni di alcuni animali sono particolarmente difficili. I due elefanti sono incatenati per tutto il giorno ad una catena di 80 centimetri e in caso di necessità non riescono neanche a grattarsi la schiena, questo la dice lunga sulle condizioni generali. Non tutti gli animali sono in condizioni miserabili, ma gli elefanti, gli orsi, i leoni e le antropomorfe si. Inoltre, diverse scimmie sono tenute in solitudine, così come gli scimpanzè e i due oranghi, anche essi separati. Il personale dello zoo deve essere pagato così poco che la maggior parte delle attività degli addetti ruota attorno al tentativo di prendere una mancia dai visitatori, lasciando che diano costantemente da mangiare agli animali, o che scattino insieme a loro delle fotografie, come in passato si usava anche in Italia. Quando Dina Zulficar, responsabile ESAF dell’unità per la fauna selvatica, mi ha parlato dell’intenzione di organizzare una protesta ero scettica, immaginavo si sarebbe persa tra le tante altre. Mi sbagliavo. Era tempo di muoversi, tutte le strade possibili erano già state tentate. Queste persone che chiedono di migliorare in Egitto le condizioni di vita degli animali ogni giorno danno da mangiare a cani e gatti randagi, portano in giro veterinari che prestano le loro cure a titolo gratuito, alleviano le condizioni degli asini forzati a trasportare carichi insopportabili, combattono la caccia ai delfini e fermano il loro uso smisurato nei delfinari per l’intrattenimento dei turisti, e cercano di creare consapevolezza e sensibilizzare coloro che, la maggioranza, si avvicinano agli animali solo a scopi utilitaristici.
 
Da non egiziana ero affascinata dall’uso pacifico della rivoluzione da parte dei dimostranti durante le proteste del25 gennaio, tutto quello che la società egiziana chiedeva era di credere che un mondo onesto è possibile, che una equa distribuzione dei beni e la giustizia sociale sono possibili. Anche il 16 aprile, davanti allo zoo del Cairo, tra bambini, donne e uomini di ogni età che protestavano in nome di chi non può parlare né chiedere e nemmeno combattere, ho letto parole di saggezza, il cartello portato da una giovane donna recava la scritta: “Si può giudicare la grandezza di una nazione dal modo in cui tratta i suoi animali. Gandhi”. Dobbiamo credere che le nostre azioni fanno la differenza.

 

  Daniela De Donno e' biologa, fondatrice e presidente del Jane Goodall Institute Italia         


 www.janegoodall-italia.org


          

Data: 05/05/2011
Autore: DANIELA DE DONNO
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