Consumare, produrre. Produrre, consumare. A leggere, ascoltare, in questi mesi sembrano le uniche soluzioni possibili alla crisi.
Ci si duole dei tempi austeri, dei tagli purtroppo inevitabili, ma non ci si domanda a sufficienza perché non sia stata spesa ancora una parola in tema di ambiente. Rilancio urgentissimo, protezione a ogni costo di qualcosa che ci è indispensabile non solo per ricominciare, ma per proseguire.
Se l'austerità, dove naturalmente non sia sofferenza, può aprire le porte a un nuovo modo di vivere, e da essa, non da produzioni e consumi in eccesso, si possono trarre incredibili vantaggi, investire sui luoghi e sul clima è semplicemente prioritario.
Abbiamo conosciuto, ad agosto e settembre 2011, un caldo rovente, protratto e straordinario. Si è detto che da un secolo o giù di lì non si registrava nulla di simile. Appena cinque mesi dopo, febbraio 2012, la nostra Penisola viene percorsa da tempeste glaciali e ricoperta da metri di neve, anche nelle regioni più meridionali.
Possiamo credere che sia un caso? Vogliamo ascoltare solo i climatologi che si limitano a ripetere dello scioglimento dei ghiacciai e delle varie correnti che si spingono l'un l'altra?
Non si può continuare a omettere il passaggio precedente, ovvero la responsabilità umana. Al di là dei grandi accordi internazionali, infatti, esistono le politiche nazionali, regionali, cittadine, di quartiere, casalinghe.
Se l'Italia non potrà più contare sul suo clima, sulla qualità della sua natura, dei suoi boschi, del suo mare, delle sue campagne, sulla dolcezza delle sue stagioni - e tutto questo è già in gran parte irrimediabilmente compromesso - possiamo dimenticarci qualsiasi forma di rinascita.
Non potremo più contare sul turismo, sull'agricoltura, sui prodotti tipici locali, sulla bellezza dei luoghi, e non solo quelli naturalistici. La nostra stessa architettura storica è spesso molto solida grazie ad antichi e pregiati metodi edilizi, ma niente affatto concepita, vedi l'esempio di Urbino, per reggere all'impatto di quintali di cumuli innevati.
Sarà un'analisi di massima, per carità: il nostro è da sempre un territorio sismico, ma minarlo ulteriormente con centinaia di migliaia di pozzi di profondità concessi a chiunque, in aggiunta agli altrettanti abusivi, significa svuotare - oltre che contaminare - le falde acquifere più intime e pregiate. Possiamo davvero pensare che questo non abbia alcuna ripercussione sulla stabilità della crosta esterna, e che non crei assestamenti tellurici?
Per salvarci, risorgere, crescere, dobbiamo sostenere l'ambiente e la natura: la nostra casa e la nostra stessa vita. Dev'essere il nostro primo pensiero, la parola d'ordine.
Il governo Monti si trova senz'altro oggi alle prese con un compito difficile e tecnico. Ma si dimostrerebbe straordinariamente miope se non dovesse considerare alla svelta che qualsiasi calcolo non può prescindere dal luogo in cui viene compiuto.