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I furbetti della caccia
Danilo Selvaggi

 Come in un’antica e ben più nobile vicenda, l’esercito che non riuscì a conquistare la Città con la forza, tentò con l’inganno. Lo sgradevole inganno che, in stile “cavallo di Troia”, nasconde la frode dentro al dono. E’ la storia della nuova leggina sulla caccia, l’articolo 43 della legge Comunitaria 2009, approvata in Senato e per fortuna non ancora confermata dalla Camera. Una storia di trucchi normativi, giochetti linguistici, piccoli e grandi raggiri. Insomma una storia di furbetti, i furbetti del quartierino venatorio italiano che sognano di cacciare a febbraio. 
  Tutto comincia in Senato, nel settembre 2008, quando ha il via l’ennesima offensiva alla tutela degli animali selvatici, leggasi riforma (diciamo così) della legge 157/1992 che regola tra l’altro l’attività venatoria. L’obiettivo generale è chiaro: liberalizzare la caccia, allentarne i vincoli. Nei numerosi disegni di legge depositati in Commissione Ambiente c’è un ampio ventaglio di bizzarrie, dal rilancio delle civette-zimbello alla liberalizzazione dei richiami vivi, dalla depenalizzazione degli spari da autoveicoli all’innalzamento delle misure per le recinzioni che impediscono la caccia in casa propria. Oltre naturalmente ai classici di sempre: riduzione delle aree protette, aumento delle specie cacciabili, caccia nei mesi di agosto e febbraio. 
  Il relatore del tentativo di riforma, il senatore Franco Orsi, si dice fiducioso su risultati e tempistica. Parla di “sei mesi o poco più” e della certezza di arrivare alla fine. Ma i sei mesi passano, si raddoppiano, si triplicano e dopo un anno e mezzo la legge è ancora al palo, contestata dall’opinione pubblica, bocciata dall’autorità scientifica, gravata da un fardello di duemila emendamenti, frenata dalle prese di distanza di mezzo governo. In sostanza, l’assalto frontale per liberalizzare la caccia è quasi fallito. Ecco allora il piano alternativo, il blitz operato “nottetempo” con la leggina infilata nella Comunitaria.  Per capire ancora meglio il raggiro, va anzitutto chiarito cosa sia e a cosa serva, la legge Comunitaria. Si tratta di uno strumento finalizzato a risolvere i casi di infrazione europea in cui viene a trovarsi uno Stato membro. A fronte di procedure attivate da Bruxelles per il mancato recepimento della normativa dell’Unione, ovvero per una sua applicazione scorretta, la legge Comunitaria rappresenta, per gli Stati inadempienti, la via legislativa per pagare il debito. Le materie interessate possono essere le più varie, dai trasporti all’agricoltura, dal commercio alla tutela dell’ambiente o appunto alla caccia. 
  Ora, qual è il debito italiano, in materia venatoria, nei confronti dell’Europa? Quattro procedure di infrazione, tre delle quali su specifici casi regionali (Veneto, Sardegna e Liguria, tutte per la caccia in deroga) ed una riguardante la complessiva politica italiana di tutela degli uccelli selvatici. Quest’ultima, la procedura 2131 del 2006, è una contestazione molto vasta, corredata da un Parere motivato di oltre 60 punti nei quali l’Europa obietta al nostro Paese l’infrazione su 11 articoli della direttiva Uccelli. L’accusa riguarda la carente tutela degli uccelli selvatici e un regime di caccia scorretto sotto vari profili: abuso dell’abbattimento in deroga di specie protette (punti 51-53 e 57 del Parere), scarso potere statale di controllo e intervento sulle regioni (punti 54-56), assenza del divieto esplicito di caccia nei periodi di riproduzione e migrazione prenuziale degli uccelli (punti 17-18), assenza dell’impegno da parte dello Stato di mantenere, non compromettere o adeguare lo stato di salute degli uccelli selvatici (punti 7-10 e 22-23). Un debito grave. In sostanza, l’Europa ci accusa di tutelare poco e di cacciare troppo e male. 
  Ma l’Italia risponde con una vera e propria “beffa”. Predispone un articolo di legge, il 43 della Comunitaria, che avrebbe il compito di sanare la situazione ma che in realtà procede, con risvolti persino clamorosi, in direzione opposta. Non una delle maggiori richieste comunitarie ottiene, dall’articolo, il dovuto riscontro: nulla sulle deroghe, nulla sul potere di intervento statale, nulla sulla tutela degli habitat naturali, nessun divieto di caccia nelle fasi di riproduzione e migrazione degli uccelli (sostituito da un’insignificante previsione di “tutela”. Potere degli inganni linguistici!). E come se non bastasse, la ciliegina sulla torta: la cancellazione dei limiti massimi (1 settembre – 31 gennaio) per la stagione venatoria nazionale, con la conseguente facoltà alle regioni di estendere la caccia ad agosto, a febbraio e anche oltre.
  Come dire: ci accusate di cacciare troppo e male? Noi ci organizziamo per cacciare ancor di più e peggio. Un bel “dono” all’Europa.  Va anche ricordato che quello consumatosi il 28 gennaio scorso in Senato, dove la legge è stata approvata per poi tornare alla Camera, è il terzo blitz tentato in meno di un anno. Un identico episodio era avvenuto nel febbraio 2009, promosso dai senatori Vetrella e Carrara, e poi nel settembre dello stesso anno ad opera del deputato leghista Pini. In entrambi i casi, la Commissione Agricoltura della Camera aveva seccamente respinto le iniziative, bocciandole come incongrue nel merito e nel metodo e avvertendo, per mezzo del Presidente Paolo Russo, che nessuno strappo sarebbe stato tollerato. Il medesimo orientamento che per fortuna è già emerso dalle discussioni alla Camera.
  “L''articolo 43 altera l’equilibrio della legge 157”, ha affermato il relatore della legge Isidoro Gottardo, “e non potrà essere accolto dalla Camera, che già lo ha respinto in passato”. “Il modo di procedere del Senato sulla caccia non porterà risultati” ha rincarato il Presidente Russo, e sullo stesso tenore i deputati di maggioranza e opposizione intervenuti in Commissione, come Basilio Catanoso, Susanna Cenni, Elisabetta Zamparutti, Angelo Zucchi, Antonio Borghesi. Più timida invece Stefania Prestigiacomo, il Ministro dell’Ambiente, che ha limitato il problema alla necessità di prevedere un parere dell’ISPRA per le deroghe regionali, dimenticando che il parere ISPRA non è purtroppo bastato ad impedire le infrazioni regionali e che i problemi dell’articolo 43 sono decisamente più ampi, articolati e gravi della minimale soluzione proposta. E soprattutto, sottovalutando un tema che dovrebbe invece far riflettere chiunque abbia a cuore l’amministrazione pubblica: le conseguenze gestionali di questa legge.
  Dal giorno dell’eventuale approvazione dell’articolo 43, si aprirebbe il più grande assalto alla diligenza immaginabile, con il Ministero dell’Ambiente, l’ISPRA e 20 regioni italiane sottoposti a continue pressioni perché il calendario venatorio venga allungato, e ciò per la semplice ragione che, in linea teorica, la legge italiana permetterebbe questa discutibile opzione.
  Una situazione del tutto ingestibile, foriera di contenziosi giuridici, tecnici e sociali senza fine, che è esattamente il contrario di quanto occorre all’Italia. Già questo dovrebbe bastare a far scrivere la parola stop sulla “leggina dei furbetti” e sulle sue voglie di deroghe e caccia a febbraio.  Né va dimenticato, per l’appunto, uno dei risvolti sostanziali di questa grigia vicenda.
  La caccia a febbraio (che è uno dei grandi desideri di una parte dei cacciatori italiani) è ipotesi costantemente bocciata dall’ISPRA, l’autorità scientifica nazionale preposta alla materia. La ragione è semplice. I giorni di febbraio sono i più delicati per le popolazioni degli uccelli migratori che, già fiaccate da avversità naturali e mesi di caccia, si preparano al grande viaggio verso la riproduzione, nel nord Europa. I primi a partire sono i maschi, e tra i maschi gli adulti. Si tratta degli individui più maturi, cioè dei maggiori riproduttori.
  Sparare in quelle fasi significa abbattere i migliori, intaccare il “capitale”, produrre un danno multiplo e dunque oltremodo grave. Sparare in quei giorni, aggiungiamo, significa macchiarsi di una colpa ancor più grande che è quella di salutare col piombo il redivivo incanto della migrazione. Sparare in quei giorni proprio non si può, non si deve. 
  C’è allora un concetto generale con cui è opportuno chiudere. Ha una cifra malinconica ma al contempo di speranza. Nel 2010, anno internazionale della tutela della biodiversità, dinanzi ai più alti obiettivi ambientali e culturali da perseguire, con un Paese che chiede natura protetta e i cieli di mezzo mondo che si riempiono di voli, l’Italia è ancora qui a combattere i blitz venatori e la caccia ai piccoli uccelli protetti. In tutto questo c’è senz’altro qualcosa di crepuscolare. Ma tutto questo, appunto, non è il futuro. Sono i colpi di coda di un passato remoto che si sta consumando lentamente e in modo inesorabile. Il futuro è altro. E’ la cultura ecologica. E’ la nuova cultura che seppure a fatica cresce, si diffonde, si arricchisce. E’ un pensiero che si apre al pianeta e alle comunità viventi, con spirito pacifico e voglia di benessere vero. E’ una grande legge per la tutela della biodiversità e del territorio che conservi gli habitat, protegga i siti, salvi il paesaggio. E’ una più profonda gratificazione dei più profondi bisogni umani, etici, estetici, esistenziali, naturali. E’ anche, tanto per cominciare, il divieto assoluto di caccia a migratori, la chiusura della stagione al 31 dicembre, l’abolizione dei richiami vivi. 
  Se il presente è la leggina dei furbetti della caccia, da bocciare senza esitazione e rimedio, il futuro è una storia molto più grande, che non tarderà troppo a realizzarsi.  

Data: 03/03/2010
Autore: DANILO SELVAGGI
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