Dovremmo incrementare il sostegno alla natura, aprire una stagione di grandi politiche per la biodiversità e invece tagliamo i fondi. La manovra del ministro Tremonti ha ridotto del 50% i finanziamenti dei parchi nazionali, con una misura (l’articolo 7, comma 24 del Decreto Legge 78) che dimezza il contributo dello Stato a enti, istituti, fondazioni e altri organismi vigilati dai ministeri. Dunque, un taglio “lineare” a tutti i ministeri, senza distinguere il chi e il cosa, secondo un metodo che all’apparenza è di carattere squisitamente ragionieristico. I 50 milioni annui per i 23 parchi nazionali italiani sono così ridotti a 25, e a ciò si aggiunge l’obbligo, a partire dal 2011, di tagliare le spese per studi, ricerche, attività di comunicazione e formative. Il milione di euro circa che mediamente resterà disponibile per ogni parco dovrà dunque bastare per le attività di vigilanza, conservazione, promozione e così via. Un’impresa complicata, che sembra anticipare ulteriori sinistri (ne ipotizziamo uno: parchi privatizzati?).
Il Ministro Prestigiacomo aveva annunciato battaglia ma un po’ troppo timidamente, se l’emendamento trasmesso a Tremonti, forse non sorretto dal vigore sufficiente, è stato escluso dal testo governativo su cui si è votata la fiducia in Senato. Risultato: battaglia persa, almeno per ora. Il che è per certi versi sconcertante, se si pensa all’enfasi con cui, solo poche settimane fa, nel pieno dell’Anno internazionale della Biodiversità, si annunciava l’impegno italiano contro la perdita di natura (habitat, siti, specie, territorio) che interessa l’intero pianeta -Europa e Italia incluse- e che non può prescindere da un serio programma riguardante le aree protette. Come questo si concili con i -25 (meno venticinque) milioni annui è ancora tutto da comprendere.
Certo, il capitolo della manovra in cui è previsto il taglio si chiama “Riduzione del costo degli apparati politici e amministrativi” e suggerisce buone intenzioni. Ad esempio, che verranno colpiti gli sprechi. I quali sono ovunque e certamente anche nei parchi e, manco a dirlo, sono sempre una pessima pratica.
Me ne viene in mente uno, una sorta di albergo-rifugio costruito nel cuore del meraviglioso Parco Nazionale del Pollino, tra i Comuni di San Costantino Albanese e Terranova. Non è mai stato utilizzato. Cade a pezzi, ferisce la bellezza del luogo, è un simbolo fortemente negativo.
Non so chi lo abbia partorito, né attingendo a quali fondi (potrebbe benissimo prescindere dalle responsabilità degli amministratori del Parco, almeno in parte) e né, infine, se è corretto classificarlo come spreco in senso tecnico, di quelli che la manovra Tremonti intende combattere (del genere: acquisti inutili, spesa corrente superflua, progetti discutibili).
Di certo è un’opera brutta, morente. Però chiediamoci: come si combattono gli sprechi? Tagliando i fondi o intervenendo su chi spreca? Chi spreca avendo 10, forse smetterà di sprecare, avendo 5? Sprecherà di meno (il che è meglio) ma sprecherà. Insomma la ragioneria non basta. Serve un livello diverso di politica, amministrazione, moralità e soprattutto una politica come visione, senza la quale tutto perde fiato e si esaurisce nella mediocrità della politica come gestione.
Diciamolo: gli sprechi sono i figli legittimi, sebbene un po’ degeneri, proprio del ragionierismo, della politica senza visione. Se non hai un programma serio, fondato su una cultura coraggiosa, che pensa un passo oltre, allora finirai per sprecare risorse.
D’altra parte, la manovra Tremonti, al pari di molte consorelle europee, spinge a farsi leggere a più livelli, uno dei quali stimola l’impressione che all’ombra del grande ombrello della crisi globale si annidino occasioni per far strame di ciò che chiamiamo “cultura”.
Che genere di Paese è quello che investe lo 0,21% in cultura e, come se non bastasse, continua a ridurre? E quanto è ancor più grave se quel Paese ha nell’arte, nei monumenti, nella ricchezza culturale uno tra i suoi volti migliori?
C’è da scommettere che la doppia filiera della manovra (tagli ai ministeri e tagli agli enti locali) penalizzi soprattutto quei settori vissuti come “inutili”, “sprechi in quanto tali”, tra cui ritroveremo fatalmente le attività culturali (così come certa scienza e certa ricerca).
Quando sento la parola cultura, direbbe un tizio, metto mano alla forbice.
Per la natura è la stessa cosa. Lo abbiamo letto e sentito più volte: soldi buttati per la cura dei pipistrelli, aree protette come territorio sottratto allo sviluppo eccetera.
I parchi nazionali italiani conservano (e tutelano, studiano, gestiscono) un patrimonio di bellezze e cose preziose che non ha valore. Anzi, un valore lo avrebbe -nel senso materiale del termine- se solo considerassimo opportunamente i servizi forniti dalla diversità biologica nella contabilità generale dello Stato: acqua da bere, sistemi idrogeologici, depurazione naturale, giusto per ricordare le cose più immediate. O se attivassimo la straordinaria fabbrica turistica (di un turismo dolce, non invasivo, eppure potenzialmente così ricco) che si cela dietro i mille luoghi ancora sottovalutati della “nostra” terra.
Ragioneria anch’essa, benché lontana dall’incubo virtuale dei subprimes e amica dei sogni possibili e di un futuro migliore. Tuttavia, questo è il valore numero 2 dei parchi e della natura. Mentre il numero 1 è un valore non calcolabile e –appunto- sempre un passo oltre.
Che cosa fare, adesso? Anzitutto, agire perché la misura in questione sia cancellata o comunque stemperata nei suoi peggiori effetti. Non tutto è perduto. Nei prossimi giorni si voterà alla Camera e, sebbene poche, le chance di farcela ci sono.
Varie le strade possibili, che vanno da un emendamento all’articolo 7.24 con cui si fanno salvi i parchi dalla misura, al ripristino dei finanziamenti mediante la Finanziaria del prossimo autunno (magari approvando un ordine del giorno subito, al margine della stessa Manovra, che impegni il Governo), fino al recupero dei finanziamenti attraverso altri fondi, capitoli e percorsi amministrativi.
Il Ministro Prestigiacomo dovrebbe attivarsi subito perché almeno una di queste strade sia resa possibile.
Per intanto, i presidenti e i direttori dei parchi nazionali hanno scritto a Giorgio Napolitano e protesteranno dinanzi al Ministero dell’Ambiente, per poi chiedere una simbolica (mica tanto) elemosina per le vie del centro di Roma. Tuttavia serve anche qualcosa di più profondo.
Le crisi sono buone perché esigono pensieri altri, aprono nuovo strade (o re-illuminano le vecchie), spingono all’autocritica costruttiva. Il futuro dei parchi italiani sta anche nello sforzo maggiore di chi li ama davvero, ne comprende l’importanza e può esaltarne i pregi.
Si contesta abbastanza la lottizzazione? Si reclama a sufficienza la qualità delle nomine? E sotto il profilo scientifico, non si può ottenere di più, in termini di sistemi progettuali, ricerca di base, strategie di conservazione della natura? E sotto il profilo della “gente”? Insomma, si fa tutto il possibile? (No. Il meglio è ancora da venire). Per tutto questo servono i fondi sufficienti, senza alcun dubbio, come anche un diverso circolo dell’ingegno, individuale e collettivo.
Inoltre, in termini più generali: si è professato e promosso abbastanza quella visione del mondo che, libera dal giogo dell’utile ad ogni costo, riesce ad accettare, ammirare l’indisponibile? Una cultura ecologista più profonda che è la vera garanzia per la difesa del bene comune: l’idea di qualcosa –ad esempio, la natura- che non va protetta solo perché sia produttiva e non esiste solo per farsi utile, oggetto da ragionieri. Qualcosa che è sempre un passo oltre. Un ragione di Stato più che una ragioneria.
I romantici usavano il termine “sublime” per indicare tutto ciò che sfugge al nostro possesso –materiale e mentale- eppure ci affascina. Il disarmonico, il lontano, il misterioso, l’oltre.
A pochi metri dall’ecomostro del Parco del Pollino, c’è un sentiero che sale, in cima al quale si giunge a un pianoro. A sinistra, la sorgente Catusa. Altissimi faggi fanno da cornice all’acqua gelida che sgorga perennemente dalla terra. Ti comunica un senso di irriducibilità, di cose che sovrastano, specie se capiti in un giorno di solitudine, con la luce cupa. Colori totali, leggeri suoni inumani, ecologia della vista.
Un luogo sublime, uno dei tanti, in un parco nazionale italiano.
Uno dei tanti che i parchi, con i loro limiti, sono riusciti a tenere in serbo.
Modificare l’articolo 7 comma 24 (coraggio, Ministro Prestigiacomo, convinca i ragionieri!).
Pensare che la natura, i parchi nazionali, sono assolutamente importanti.
Cancellare il cemento morente degli ostelli abbandonati e dare alle sorgenti sublimi tutto il valore, economico e non, che meritano.