Periodicamente, le varie istituzioni (locali e nazionali) forniscono dati sul randagismo, in genere confortandoci con l'idea di un miglioramento. Ma com’è ovvio, le cifre riguardo gli abbandoni non si ottengono contando gli animali per strada, piuttosto in base agli ingressi nei canili. Quando tuttavia i comuni convenzionati non pagano, o le strutture sono al collasso e negano gli accessi, ecco che il numero cala. I cani diminuiscono pure se uccisi a fucilate, com'è platealmente avvenuto nelle stagioni passate in certe regioni del Sud, e spariscono assieme alle colonie feline per alimentazione di gusto orientale e non, pellicce, lotte clandestine. Il loro numero può infine decrescere in quei buchi neri che sono certe strutture, mini o maxi, convenzionate con i comuni grazie a gare d'appalto al massimo ribasso: con cifre irrisorie - un euro e mezzo al giorno - si pretende di accalappiare gli animali, nutrirli, provvedere a sterilizzazioni, cure veterinarie, microchip e eventuale smaltimento delle carcasse.
La base di importanti cambiamenti è senz'altro nei controlli, ma anche in una giustizia più accorta: dopo denunce e sequestri non è raro che veri e propri lager vengano assegnati ai titolari.
Intoccabili, tuttora, gli allevamenti. Non si osa imporre un limite alle nascite dei cani di razza (dove finiscono i cuccioli imperfetti?) né l’obbligo alla sterilizzazione per i privati. Suona impopolare, contro il commercio, ma, ragionando, i cani abbandonati da qualche parte pur provengono.