Nella vita di un uomo i 60 anni di età sono una tappa importante, un ciclo completo. Cinque volte Giove ha percorso il cielo natale, dicono gli astrologi, ogni volta espandendo l'orizzonte della vita verso nuove aperture, e adesso, a 60 anni, ecco, il corpo è un po' stanco, l'anima si è fatta quasi pacata, volge l'occhio all'interno, gli occhi guardano il mondo abbandonando per la prima volta la superbia guerriera, della gioventù e della maturità, sempre più in cerca di vicinanza e di affinità con gli altri esseri.
In Australia quando un aborigeno raggiunge quel numero di anni i componenti della sua comunità lo festeggiano in modo speciale: l'individuo viene fatto sedere su un trono posto in un luogo sopraelevato e tutte le persone del gruppo gli sfilano davanti e ognuna lo ringrazia di un dono specifico che egli ha portato nella sua vita. Un uomo gli dice grazie per avergli insegnato a trovare i sentieri nel bush, la boscaglia, un altro per avergli mostrato come usare la cerbottana, un altro per averlo addestrato a suonare il flauto, un altro per averlo ascoltato quando aveva un peso sul cuore e aveva bisogno di un orecchio che accogliesse il suo racconto. I ringraziamenti sono tutti diversi e il film che ne esce fuori è una storia continua a dimensione totale, la testimonianza della ricchezza, complessità, sfaccettatura infinita non solo della vita e del carattere di un uomo ma di un intero gruppo sociale unito dalla rete salda e invisibile dell'esistenza su questa terra.
Anche nella vita della terra ci sono cicli importantissimi, come quello del grano che in Europa tocca il suo culmine in questi giorni, tra giugno e luglio. La sua coltivazione è stata da tempo immemoriale e fino a pochi decenni fa al centro del culto degli alberi e delle messi, le sue fasi oggetto di usanze, credenze e racconti. Ogni anno si ripete il miracolo del grano: il seme nel solco, lo stelo verde, la spiga bionda, poi il mannello, il covone, la farina, il pane. L'uomo che taglia gli steli maturi col suo falcetto non sa di tenere in mano l'attributo di Cerere, dea delle messi; ma in Germania, dice Frazer ne Il ramo d'oro, il grano si personifica come "madre del grano" e in primavera, quando le spighe ondeggiano al vento, i contadini dicono: "ecco la madre del grano", oppure "la madre del grano corre sui campi", e si crede che ella sia presente nel fascio di spighe che si lascia per ultimo in piedi nel campo.
Magico deve essere apparso al granduca Cosimo III dei Medici l'eccezionale cespuglio di 180 spighe nate da un solo chicco di grano nato nel 1713 nell'orto di Francesco Magnelli: il Granduca , che vedeva la natura come diretta creazione divina, ordinò che ne fosse eternato il ricordo in un dipinto a grandezza naturale, cm.144 per 116, commissionato al pittore naturalista della corte, Bartolomeo Bimbi.
Ecco allora questa meraviglia vegetale, questa maestosa cattedrale barocca naturale piegante dolcemente alla brezza i suoi steli alcuni verdi alcuni dorati, campeggiare assoluta sulle sue esili radichette piantate nella terra arida di luglio, mentre in lontananza le colline si arrotondano azzurrine. Non c'è nessun uomo nel paesaggio. Solo un'erba, come dovrebbe essere guardata un'erba; con attenzione, con rispetto e meraviglia. Canta così la spiga di grano il poeta e diplomatico nicaraguense Rubén Darìo:
La spiga
Guarda il segno sottile
che le dita del vento
tracciano all'agitare
lo stelo che si china
e s'alza in una ritmica virtù di movimento.
Con il pennello d'oro del fiore della farina
disegna sull'azzurra tela del firmamento
il mistero immortale della terra divina,
l'anima delle cose che dà il suo sacramento
in un'interminabile freschezza mattutina.
Nella pace del campo la faccia di Dio appare.
Anche Masanobu Fukuola, il contadino filosofo giapponese, (ricordate?) vedeva il volto di Dio nell'erba, la sacra, bellissima erba dei campi e dei prati. Oh, se la guardassimo da vicino, facendole riempire il nostro paesaggio.