Approfondimenti 5 novembre 2010
Alluvioni, riscaldamento globale e sviluppo sostenibile: una riflessione.Pioggia devastante, come ogni anno da qualche tempo a questa parte: danni alla rete stradale, a cose e persone.
In 48 ore si è riversato fino a mezzo metro di pioggia nel Pordenonese e altre grandi quantità sul territorio del centro-nord: sono esondati i fiumi Lambro e il Seveso in Lombardia, il Varma in Friuli, il fiume Magra in Liguria, l’autostrada A4 è stata chiusa tra Vicenza e Verona, si è allagato il 10% del suolo nel territorio di Vicenza, 2.500 sono gli sfollati nel Veronese e infine tre persone hanno perso la vita a causa di una frana in provincia di Massa Carrara.
E la furia delle piogge si è abbattuta con esondazioni e frane a tappeto nel territorio centro settentrionale della penisola.
Sono dati allarmanti, che spesso suscitano commenti stupiti sulla potenza della natura che però non guardano in filigrana il significato di questi eventi.
Certo, abbiamo subito un sospiro di sollievo al pensare che nel nostro paese l’effetto devastante delle piogge non ha causato una tragedia di dimensioni esorbitanti come invece in Pakistan e in India due mesi fa, dove le piogge monsoniche si sono abbattute nelle zone del Sindh, del Ladekh indiano, del Punjab e del Khyber-Pakhtunkhwa colpendo oltre 21 milioni di sfollati, uccidendone quasi 2000, e trascinando dietro di sé il problema di oltre 8 milioni di minori a rischio e 4 milioni di malati per epidemie scoppiate nei campi di accoglienza. Senza pensare alla catastrofe che è avvenuta in Cina, dove tra maggio e agosto di quest’anno 9 milioni di persone sono state evacuate dalle loro case distrutte dalle valanghe di fango riversate dai fiumi Yanghze, Giallo e Songhua.
E sono passati solo sei anni dallo Tsunami nel sud est asiatico, e solo due dai cicloni del Myamnar e del Guatemala.
Alcune persone di fronte a queste calamità invocano l’aiuto di Dio per capirne il significato, io personalmente non sono competente al riguardo ma vorrei che invece pensassimo per un momento oltre a disperarci per l’immane disastro: cosa c’è dietro?Quali sono le cause?
Scopriremmo che sono quanto di più “umano” di quanto possiamo immaginare.
Precipitazioni intense e a volte alluvioni ci sono sempre state ciclicamente nel corso della storia. Ma le morti così copiose e in anni così ravvicinati che sono avvenute nell’ultimo decennio sono assolutamente non naturali.
Di studi a riguardo ne sono stati fatti innumerevoli. Solo per dirne uno, su National Geographic è apparso poco fa un articolo di Kevin Trenbeith, scienziato del centro di ricerca sull’atmosfera del Colorado che ha collegato la grande siccità in Russia dei mesi estivi all’alluvione in Pakistan, in quanto le alte temperature che tra l’altro hanno causato moltissimi morti, hanno causato una massa d’aria calda che inevitabilmente si è trasformata in queste violente precipitazioni, insieme all’aumentare di un grado della temperatura media dell’Oceano Indiano dagli anni ’70, senza pensare che proprio pochi mesi prima in Pakistan si è verificata la temperatura più alta dall’avvento delle misurazioni scientifiche nel paese.
Kamila Shamsie del Guardian ha visto le cause meno direttamente legate al riscaldamento globale e più collegate invece alla deforestazione e alla mafia dietro ai tagli selvaggi di foresta nel nord del paese.
Come invece alcuni ricorderanno, Al Gore, l’ex vicepresidente degli Stati Uniti aveva prodotto un documentario (vedi qui) e un agile libro in cui metteva in luce chiaramente la stretta correlazione scientifica tra le emissioni di CO2, l’aumento delle temperature globali,lo scioglimento dei ghiacciai e l’intensificarsi di cicloni, uragani e alluvioni in questi ultimi decenni.
Come sempre la ragione non sta di casa da nessuna delle due parti, o forse in tutte e due, e anche oltre.
Se accadono sempre più spesso siccità incredibili, inondazioni, piogge torrenziali e uragani devastanti è sicuramente sia colpa delle emissioni di CO2 e del riscaldamento globale, sia della deforestazione e urbanizzazione selvaggia, soprattutto nei paesi del cosiddetto “terzo mondo” o con una economia in via di sviluppo, che vengono devastati dalle monocolture intensive delle multinazionali del caffè o dei cereali per allevamenti, tappezzati di fabbriche per produrre a prezzi irrisori ciò che compriamo nel nord del mondo, riempiti di resort e villaggi vacanze sulle coste che devastano gli ecosistemi.
E poi cercano di “svilupparsi”. Ma di che tipo di sviluppo si tratta? Purtroppo sono proprio i paesi in via di sviluppo a dover fare i conti con i lati più deleteri dell’urbanizzazione cominciata in Europa circa 300 anni fa: una terribile gestione dei rifiuti, riciclaggio quasi inesistente, quasi nessun tipo di controllo sulle emissioni di CO2 da carburanti, rifiuti tossici dispersi nell’ambiente e un modello di consumi che, seppur “scimmiottato” mostra più che mai la sua incompatibilità con la salvaguardia dell’ambiente e della vita sulla terra.
Per tornare “a casa nostra” Coldiretti afferma, più o meno scientificamente, che il 70% dei comuni italiani sono a rischio frane e alluvioni per via della cementificazione selvaggia, della desertificazione di alcuni territori, del disboscamento e non ultimo, dell’incuria delle autorità pubbliche nella manutenzione di reti fognarie e di scarico.
A quanto pare però questi problemi sembrano poco influenti su chi ci amministra, visto che non sono stati fatti provvedimenti a proposito, a differenza di paesi comunitari come la Repubblica Ceca, la Polonia e la Slovenia che intendono investire economicamente nel CCS, piano di politiche comunitarie aderenti al Protocollo di Kyoto per la cattura e lo stoccaggio geologico del carbonio.
Un pensiero quindi sorge spontaneo: per ridurre il nostro impatto sull’ambiente non possiamo limitarci a fare scelte di stili di vita, come la dieta vegana, l’impianto di pannelli solari sul nostro tetto, o l’utilizzo di mezzi di trasporto “verdi”, che sicuramente sono molto importanti ma da sole non bastano.
Usciamo dall’individualismo delle nostre scelte personali, spargiamole, rendiamole comuni, discutiamone, riuniamoci in comitati, associazioni, organizzazioni e facciamo pressione sulle amministrazioni che mettono il profitto, l’urbanizzazione selvaggia e lo sviluppo economico a tutti i costi sopra ogni priorità facendo ammalare il nostro pianeta.
Non facciamoci piovere addosso il problema del riscaldamento globale!
Per approfondire :
www.globalwarming.org
www.climatehotmap.org