Mentre la Catalogna si è decisa ad abolire il terribile spettacolo della Corrida, altrove questa anacronistica manifestazione continua indisturbata. Fino a quando, per una volta, la vittima si fa carnefice in un tragico esempio di tradizione che tradisce se stessa, principalmente nello spirito del simbolismo che è chiamata a manifestare. Del resto, parlare di morte delle tradizioni popolari nell’epoca della globalizzazione assomiglia molto ad uno stupido ossimoro: come se per esistere e per rimanere nella memoria, queste tradizioni folcloristiche avessero bisogno di essere rappresentate e potessero rivivere per il loro carattere ricorsivo. Quale alternativa a tale spettacolo di tauromachia, esiste, anche se poco conosciuta, la Corrida de recortes, che impegna una squadra di recortadores o schivatori che affrontano, uno alla volta, alcuni bovini da combattimento. A differenza delle corride questo tipo di manifestazione, che ricorda molto da vicino la tavrokathapsìa cretese, si svolge come una gara in cui concorrono separatamente sia i recortadores che i bovini, ciascuno dei quali otterrà dei punti rispettivamente per l’eleganza delle schivate e per la potenza ed efficacia delle cariche.
A Tafalla, in Navarra, nei giorni scorsi, durante una corrida, un toro ha saltato le barriere protettive e si è gettato tra gli spettatori, ferendo almeno 30 persone. Una volta bloccato, il toro è stato soppresso. Al termine del triste evento, non sono naturalmente mancate le polemiche perchè, in maniera imprevedibile, qualcosa è andata storta.
Riportiamo qui l'articolo di Luisella Battaglia, che insegna Filosofia Morale all'Università di Genova e presiede l'Istituto Nazionale di Bioetica.
“Anticorrida” a Tafalla. Dalla parte del toro. Ribelle e fucilato
di Luisella Battaglia
Chi ha assistito – emozionato o interdetto – alla straordinaria “anti-corrida” che si è svolta su un’arena spagnola avrà probabilmente pensato ai ‘mondi alla rovescia’, a quei racconti nati dalla fantasia popolare in cui gli animali prendono il posto degli uomini e viceversa (es. l’uccello che spara al cacciatore o il maiale che scanna il macellaio): parodie o, se si vuole, caricature zoologiche che rappresentano riti compensatori di trasgressione e di rovesciamento delle regole in cui l’impossibile si fa possibile. Ebbene, è proprio quel che è avvenuto: il toro non si è limitato a mettere in difficoltà il torero ( evento in qualche modo prevedibile e arginabile) ma ha sovvertito il gioco stesso imponendo le sue regole e diventando protagonista col mettere, per così dire, alle corde l’intera platea degli spettatori atterriti. Sarebbe interessante ascoltare i commenti dei difensori della corrida, da Mario Vargas Llosa a Franco Cardini, pronti ad estasiarsi dinanzi all’esaltante spettacolo del matador che – emblema dell’intelligenza e della forza dell’uomo – sconfigge la brutalità cieca incarnata dal toro. Il quale, a loro avviso, è assai soddisfatto della parte che gli viene assegnata e del trattamento cui è sottoposto, molto più nobile di quello riservato ai suoi compagni plebei e sfortunati, destinati a concludere in un oscuro mattatoio la loro esistenza terrena.
Dinanzi a tali elucubrazioni ho sempre ritenuto quanto meno azzardata la sicurezza con cui vengono interpretati i sentimenti di un animale. Un dubbio che dovrebbe cominciare a insinuarsi anche nelle loro menti dinanzi alla ribellione del toro che – come hanno mostrato le immagini – se ne è infischiato della mirabile rappresentazione di cui era coprotagonista, colla parte già assegnata di vittima sacrificale, invadendo senza alcun preavviso, con balzi di eccezionale destrezza, le tribune. L’”anti-corrida” è durata – pare – un quarto d’ora e ha consentito al toro di difendere le sue ragioni e le sue regole. Avrebbe senz’altro meritato la vittoria ma – lo sappiamo – il toro non può mai vincere: la sacra rappresentazione della superiore dignità umana prevede il sacrificio, l’effusione del sangue, lo strazio della vittima. Anche questa volta il rito si è celebrato, anche se molto poco gloriosamente: al giovane toro è stata infatti negata la danza della muleta, il drappo con cui il torero sfianca l’animale già sanguinante ed esausto, prima di spaccargli il cuore con la spada che gli fa scivolare tra le scapole. Al posto del torero e delle sue eleganti evoluzioni, qualcuno tra il pubblico – il più coraggioso – gli ha tirato la coda, facendolo così ruzzolare sulle scalinate dove un manipolo di temerari è riuscito con grandi sforzi a legarlo e infine ad abbatterlo a colpi di carabina. Una vera e propria esecuzione che riesce francamente difficile definire “un rito in cui l’uomo si trova di fronte a quello che rappresenta ,insieme, la brutalità e la morte e riesce a sconfiggerle con il coraggio, l’intelligenza, il dominio di sé”. Anche il filosofo Savater celebra in Tauroetica tale sfida, sostenendo che “l’uomo conosce la morte, l’animale no”. Ancora una volta, quanta sicurezza!
Vengono alla mente le parole di Alain: “Non è permesso supporre lo spirito nelle bestie. Ogni ordine sarebbe presto minacciato se si lasciasse credere che il vitellino ama sua madre o che teme la morte…”Altri filosofi tuttavia, a differenza di Savater, pensano che gli animali abbiano una ‘coscienza pratica’ della morte, e cioè una percezione del finire della vita che è, per così dire, iscritta nella loro stessa carne, pur non possedendo, come l’uomo, una ‘comprensione meditata’ della morte che è per noi, data la consapevolezza della nostra condizione di ‘mortali’, la questione decisiva con cui confrontarci. Sennonchè tutto questo – si badi – non solo non diminuisce, ma in qualche modo accresce il pathos della loro condizione: è proprio il loro ‘non sapere’ che consegna a noi la responsabilità del loro morire.
Per questo il giovane toro che scompiglia inconsapevolmente le regole, che invade lo spazio a lui interdetto ci ricorda che la corrida rappresenta un ‘momento della verità’, un’esperienza cruciale in cui le frontiere convenzionali si cancellano e lo sguardo dell’uomo incontra quello dell’animale che resiste disperatamente alla morte che sta per essergli inflitta. Al di là degli orpelli retorici, dei rimandi simbolici, dei giochi di rispecchiamento l’”anti-corrida” ci rivela dunque, nel rovesciamento tragicamente grottesco del rito, la verità nascosta della tauromachia, la realtà del mattatoio.