Durante il non lungo soggiorno di Byron a Roma il suo amico Hobhouse insistette da Londra perché il poeta si facesse immortalare in un ritratto marmoreo, e scrisse allo scultore danese Bertel Thorvaldsen, che aveva uno studio nell’Urbe, perché ricevesse il poeta. Byron nicchiò, ma finì per accettare. In ogni caso, scrisse, si sarebbe rifiutato di farsi mettere in testa una corona d’alloro (“non mi farò decorare il capo con l’agrifoglio, come una torta natalizia!”).
In seguito lo scultore avrebbe ricordato la prima seduta. “Byron si sedette davanti a me, ma subito assunse un’espressione completamente diversa da quella sua consueta. ‘Non può stare fermo?’ dissi io – ‘non deve fare quella faccia.’ ‘Questa è la mia espressione,’ disse Byron. ‘Davvero?’ dissi io, e poi lo feci come pareva a me. Quando la scultura fu finita, tutti riconobbero che era un’ottima somiglianza. Quando la vide, Byron disse: ‘Non mi assomiglia affatto; la mia espressione è più infelice.’ Voleva intensamente essere così totalmente sventurato”.
Quando raccontava l’episodio, Thorvaldsen rideva. Hobhouse pagò il conto dell’artista, ma poi Byron si accollò le spese del trasporto della statua in Inghilterra. Fece bene, perché se l’originale fosse rimasto qui a quest’ora avrebbe probabilmente fatto una fine ancora peggiore di quella della bella copia collocata in un angolo di Villa Borghese, e ora vandalizzata.
I romani si vantano degli illustri turisti che visitano la Città Eterna, ma sotto sotto disprezzano i loro ospiti così come si infischiano del loro patrimonio di arte.