Nel mondo ideale, quello che ci auspichiamo, non solo l'uomo - in grado di fare diversamente - smetterebbe di mangiare gli altri animali, ma eviterebbe pure di sfruttarli o utilizzarli per commercio, sport, spettacoli o personale diletto. Tuttavia, sarebbe assurdo non considerare che oggi esistono alcune specie, perlopiù equidi, impiegate in attività che ne determinano almeno buona parte dell'esistenza: e anziché guardare oltre è utile approfondire norme, regole e condizioni che ne delimitano la qualità della vita e la tutela.
In Italia i cavalli impiegati negli ippodromi, nei maneggi, nei circoli sportivi, negli agriturismi, nelle situazioni clandestine, sono centinaia di migliaia. Non godono dell'interesse sistematico degli ambienti animalisti, eccezion fatta per l'impegno di associazioni specifiche (Italian Horse Protection association, Horse Angels) o dell'attenzione che si solleva in occasione degli incidenti nei palii e nelle sagre. L'assunto più o meno dichiarato è la contrarietà all'utilizzo dell'equino nelle passeggiate, nelle gare, negli spettacoli; si concepiscono solo i cavalli in libertà. Purtroppo però, a meno di non essere custoditi da amatori, questi ultimi vengono in genere allevati per la carne. Mentre ignorare la presenza di un numero straordinario di animali nelle più varie scuderie significa abbandonarli al proprio destino.
Se esiste una legge nazionale, la 189 del 2004, che stabilisce sanzioni penali contro i maltrattamenti agli animali e in particolare quelli d'affezione, il cavallo non rientra in una precisa categoria giuridica, trattandosi di soggetto destinabile da principio al macello, oppure al lavoro. E in questo secondo caso, tutto quanto egli si trovi a subire viene in genere legittimato come allenamento, addestramento.
Sono le federazioni sportive, gli allevatori, le giurie sportive, i proprietari, gli ordini veterinari, a decidere e giudicare, all'interno di un sistema del tutto auto riferito, seppur vasto. Questo non è pensabile; gli abusi cui troppi cavalli sono sottoposti dipendono proprio da politiche molto arretrate e miopi, che riflettono una mentalità incapace di conciliare il benessere dell'animale con la sua necessaria cooperazione. Al contrario, il vero passo in avanti si può compiere rendendo tutte le attività che vedono insieme cavallo e uomo rigorosamente sostenibili. Si tratta di un lavoro ampio e complesso che parte da una base di conoscenza della realtà.
Fuori dal dibattito ci è impossibile capire, valutare e anche, eventualmente, opporci, proporre, incidere. Talvolta, è utile ascoltare pure chi non la pensa esattamente come noi, che siamo com'è ovvio per il rispetto assoluto e la garanzia della vita di ogni individuo a costo di ogni sforzo possibile.
Per dare inizio a tale percorso, abbiamo deciso di ospitare tre diverse opinioni riguardo la querelle che in questi ultimi mesi agita gli ambienti equestri, veterinari, farmaceutici: la destinazione ultima degli equidi, (DPA ovvero "destinato alla produzione alimentare o meno) che va stabilita in anticipo sul documento di ogni soggetto. Ecco dunque sull'argomento gli interventi di Paolo Giulio Predieri, veterinario e titolare di un'azienda farmaceutica specializzata in equini (dove dichiara svolgersi solo sperimentazione terapeutica), della dottoressa Eva Rigonat veterinaria della Usl di Modena e di Antonio Nardi-Dei da Filicaja Dotti, presidente della Italian Horse Protection association.
Alla vigilia dell'inaugurazione di CAVALLIaMILANO, fiera sportiva e commerciale che include però Il Laboratorio di CAVALLIaMILANO, uno spazio interamente dedicato al benessere e alla tutela del cavallo a cura di Susi Cottica e Nico Belloni, accogliamo anche con grande piacere una testimonianza speciale. Raccolta proprio da Susi Cottica, è quella di Michel Robert, un campione del salto ostacoli che del rispetto degli animali e di un modo di conciliare le prestazioni sportive con le esigenze etologiche ha fatto sempre il suo punto fermo.